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Apple potrebbe aver sospeso il progetto degli occhiali smart

Apple Glasses

L’azienda della mela morsicata è solita rilasciare prodotti innovativi sul mercato. Molto spesso, però, questa vuole anche che siano perfetti sotto ogni punto di vista. Se un risultato ottimo non viene raggiunto, questa preferisce mettere da parte il tutto. E’ questo quello che potrebbe essere accaduto con il progetto degli Apple Glasses. Sembra, infatti, che la casa abbia deciso di sospenderlo definitivamente.

Ebbene sì, sono anni che si parla di una possibile uscita di occhiali smart della mela morsicata. Negli ultimi mesi, però, le notizie e i rumors in merito sono stati sempre meno. Nelle scorse ore la notizia è arrivata come un fulmine a ciel sereno, gli Apple Glasses non verranno più sviluppati. Come mai Cupertino ha deciso di metterli KO dopo così tanti anni?

 

Apple Glasses: gli occhiali smart non ci saranno più

A confermare la notizia è stato il noto sito Digitimes. Questo è convito che Apple abbia deciso di mettere KO il progetto degli occhiali smart. Ricordiamo che Apple ha investito molto nel progetto. Gli occhiali dovevano essere qualcosa di diverso rispetto ad un classico visore per la realtà aumentata. A quanto pare, questi dovevano persino possedere un sistema operativo dedicato, rOS.

Pare, però, che Apple abbia capito che continuare a sviluppare un progetto di questo tipo non aveva più senso. Molto probabilmente l’azienda non ha raggiunto i risultati sperati. Non si hanno notizie precise in merito alla decisione. Ciò che sembra esser certo è che gli Apple Glasses non vedranno mai la luce. Restate in attesa per ulteriori aggiornamenti a riguardo.

Apple: presto anche iPhone XS e iPhone XR saranno prodotti in India

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L’azienda della mela morsicata sta lentamente spostando la sua linea produttiva in India. Oramai ne parliamo da un bel po’. Sono anni che Apple pensa al paese orientale come un mercato florido. Negli ultimi mesi, questa è riuscita a portare nel paese una grossa parte della catena produttiva. Ciò grazie a due grandi aziende, Winstron e Foxconn.

Proprio ieri vi abbiamo parlato dell’arrivo dei primi iPhone Made in India all’interno del nostro continente. Una situazione del genere non si era mai verificata prima d’ora. I pochi iPhone prodotti in India, infatti, sono sempre stati destinati solamente al mercato interno. Pare, però, che Apple abbia cambiato idea in merito. Nelle scorse ore, è giunta notizia dell’imminente avvio della produzione di iPhone XS e XR all’interno del paese. Scopriamo i primi dettagli.

 

Apple: gli iPhone XS e iPhone XR “Made in India” saranno destinati al mercato interno

Ebbene sì, non più solamente iPhone X come abbiamo detto ieri, ma anche gli ultimissimi modelli di iPhone XS, iPhone XS Max e iPhone XR. Ad annunciare l’avvio della produzione è stata l’azienda produttrice stessa, Foxconn. Questa, infatti, ha messo in piedi uno stabilimento all’avanguardia in grado do poter produrre anche gli smartphone di ultima generazione nel paese. Questi, come già spiegato, saranno inizialmente destinati solamente al paese stesso.

In questo modo, infatti, Apple potrà usufruire sulle agevolazioni fiscali e potrà proporre gli smartphone ad un prezzo decisamente più accessibile. Lo scopo è quello di prendersi una fetta di mercato indiano. Riuscirà Cupertino nel suo intento? Restate in attesa per ulteriori aggiornamenti a riguardo.

Fortnite: il robot è quasi pronto per combattere il mostro

Fortnite robot completo

L’azienda del fenomeno videoludico degli ultimi tempi, Epic Games, ha da poco introdotto all’interno dei file di gioco, quelle che sono le ultime parti del robot in costruzione prezzo Impianto a Pressione. Sembra proprio che manchi poco all’inizio dell’evento di fine stagione di Fortnite. Cosa ci sarà da aspettarsi?

Il mostro di Picco Polare non sta più stravolgendo la mappa di Fortnite. Nonostante ciò, pare che questo sia ancora presente nel gioco. In questi giorni, Epic Games sta focalizzando l’attenzione dei giocatori sulla costruzione di un robot nei pressi di Impianto a Pressione. Ora, il corpo è quasi completo del tutto. Cosa accadrà una volta ultimato?

 

Fortnite: l’aggiornamento della prossima settimana sarà decisivo

Ebbene sì, nonostante tutti i file del corpo del robot siano stati aggiunti, manca ancora la testa. Molto probabilmente, Epic Games deciderà di introdurla all’interno dell’aggiornamento 9.40 previsto per la prossima settimana. Di conseguenza è molto difficile dire che vedremo l’evento prima di quella data. Ricordiamo che Epic Games ha posticipato l’inizio della stagione 10. La Season corrente, infatti, durerà ben 12 settimane. Non c’è dubbio nelle due settimane di buco verrà proposto qualcosa di grosso.

Ricordiamo che l’evento in arrivo dovrebbe vedere compie protagonisti il mostro di Picco Polare e il robot di Impianto a Pressione. Questi si scontreranno a morte finchè uno dei due non cederà. Molto probabilmente, l’evento porterà ad un grosso stravolgimento della mappa di gioco. Chi sarà il vincitore dello scontro? Restate in attesa per ulteriori aggiornamenti a riguardo.

 

I gabbiani dell’Australia portano superbatteri resistenti agli antibiotici

E’ ormai risaputo da tempo che molte specie di animali possono essere dei veicoli di varie malattie e patologie, trasportando vari tipi di batteri. I gabbiani di tutta l’Australia, per esempio, trasportano superbatteri resistenti agli antibiotici, affermano gli scienziati.

Hanno trovato oltre il 20% dei gabbiani d’argento a livello nazionale che trasportano batteri come E. coli, che possono causare infezioni del tratto urinario e del sangue e sepsi.

 

I gabbiani australiani trasportano superbatteri

La ricerca ha sollevato il timore che i batteri resistenti agli antibiotici,simili ai superbatteri che hanno colpito gli ospedali, possano infettare uomini e altri animali. Gli scienziati l’hanno descritto come un “campanello d’allarme“.

Si crede che gli uccelli abbiano contratto gli insetti per scavenging nella spazzatura e nelle acque reflue.Gli scienziati che hanno condotto la ricerca per conto della Murdoch University di Perth hanno detto che è “un’apertura all’occhio”, ha riferito The Guardian.

“Penso che sia un campanello d’allarme per tutto il governo e varie agenzie, come il trattamento delle acque e i grandi consigli che gestiscono i rifiuti, per lavorare in modo collaborativo per affrontare questo problema”, ha detto il dott. Sam Abraham, docente di medicina veterinaria e infettiva malattie.

Gli esseri umani potrebbero contrarre i batteri se toccano le feci dei gabbiani, ma il rischio è considerato basso se si lavano le mani in seguito. Lo studio ha mostrato che alcuni insetti trovati nelle feci erano resistenti ai comuni farmaci antibiotici come la cefalosporina e il fluorochinolone. Un campione ha mostrato resistenza al carbapenem, che è un farmaco di ultima istanza utilizzato per infezioni gravi e ad alto rischio.

 

 

Scoperto uno dei pochi asteroidi ad avvicinarsi pericolosamente al Sole

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Grazie agli astronomi e alla loro costante ricerca di nuovi corpi celesti che si muovono attraverso il nostro sistema solare, abbiamo avuto conoscenza di molti asteroidi. Molti di essi percorrono orbite lunghe ed ellittiche attorno al nostro Sole, attraversando il nostro sistema solare e a volte anche avvicinandosi moltissimo alla Terra lungo la strada, sfrecciando attorno al Sole e per poi tornare di nuovo indietro.

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Ora, i ricercatori hanno individuato un asteroide che non sfiora mai nulla che sia troppo lontano dal Sole. L’oggetto, noto come LF6 2019 , completa un giro intorno alla nostra stella ogni 151 giorni e si avvicina molto di più al Sole persino di Mercurio. LF6 viaggia secondo un’orbita ellittica, che lo porta entro l’orbita di Mercurio e poi torna indietro oltre l’orbita di Venere. Non si avvicina mai alla Terra, e nessuno sapeva che esistesse fino ad ora.

 

LF6 è uno degli asteroidi più inusuali mai scoperti

Si stima che l’asteroide sia largo circa un chilometro, il che rende ancora più straordinario il fatto che sia rimasto nascosto per così tanto tempo. “Trent’anni fa, iniziammo ad organizzare ricerche di asteroidi, trovando per primi gli oggetti più grandi, ma ora che la maggior parte di essi è stata trovata sono diventati molto rari“, spiega Tom Price della Caltech. “LF6 è molto insolito, sia per la sua orbita che per le sue dimensioni: la sua orbita fuori dal comune spiega perché un asteroide così grande ha eluso diversi decenni di ricerche accurate“.

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Gli asteroidi che orbitano così vicino al Sole, non viaggiando mai oltre la Terra e fino alle profondità del Sistema Solare, sono spesso difficili da individuare per gli astronomi. Essi devono dedicare le loro risorse di osservazione a finestre di tempo molto strette, poco prima dell’alba e dopo il tramonto, sperando di individuare gli oggetti prima che la luce del Soleabbagli i loro strumenti. LF6 ha l’anno più corto di qualsiasi asteroide conosciuto e, sebbene non sia di particolare interesse per gli scienziati come oggetto vicino alla Terra, è una scoperta speciale.

Il ghiaccio sta scivolando verso i bordi della calotta della Groenlandia

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Il ghiaccio sulla lastra di ghiaccio della Groenlandia non si scioglie. Il ghiaccio scorre in realtà rapidamente attraverso il suo letto verso i bordi del ghiaccio. Di conseguenza, poiché il movimento del ghiaccio è da scivolare in contrapposizione alla deformazione del ghiaccio, il ghiaccio viene spostato verso le zone marginali ad alta temperatura più rapidamente di quanto si pensasse in precedenza.

 

Il ghiaccio della Groenlandia sta scorrendo verso i bordi

Neil Humphrey, professore di geologia e geofisica all’Università del Wyoming, e Nathan Maier, un dottorato in geologia dell’UW. La studentessa di Morristown, N.J., era a capo di un recente gruppo di ricerca che ha scoperto che non hai bisogno di letti con tiglio o fango, che agisce da lubrificante, per avere alti tassi di scivolamento. Piuttosto, hanno scoperto che si trova su una roccia dura dove il ghiaccio scivola più rapidamente. Inoltre, il ghiaccio scivola oltre il substrato roccioso molto più delle teorie precedenti preannunciate su come si muove il ghiaccio sulla lastra di ghiaccio della Groenlandia.

“Questo è il kicker: la Groenlandia Ice Sheet scivola felicemente su una superficie che secondo la teoria non dovrebbe essere in grado di scivolare rapidamente sopra”, dice Humphrey. “Ciò che è importante è che, a causa di questo, ottieni molto ghiaccio negli oceani o basse altitudini dove può sciogliersi molto velocemente, è come un pezzo di melassa che scivola dal continente, ma non si scioglie. l’oceano.”

“Le nostre misurazioni del flusso dominato da scorrimento su un letto duro in una regione a movimento lento sono state piuttosto sorprendenti, perché le persone non associano tipicamente queste regioni a uno scorrimento elevato”, aggiunge Maier. “Generalmente, le persone associano un sacco di movimento scorrevole a regioni che hanno letti morbidi (fango) o velocità eccezionalmente alte, come i flussi di ghiaccio, ma in questa regione relativamente noiosa abbiamo trovato la più alta percentuale di scivolamento misurata fino ad oggi.”

Il ghiacciaio Thwaites è ormai al suo punto di non ritorno

Secondo i ricercatori la situazione del ghiacciaio Thwaites è ormai giunta al punto di non ritorno, ed il grande ghiacciaio antartico non è più recuperabile. Il suo destino è quindi quello di sciogliersi e nella peggiore delle ipotesi di crollare nel prossimo futuro.

 

Il ghiacciaio Thwaites è al suo punto di non ritorno

Il continuo scioglimento dell’enorme ghiacciaio, potrebbe portare all’innalzamento dei livelli del mare di circa 50 cm in soli 150 anni con il suo completo scioglimento, come ha dichiarato la scienziata NASA, Helene Seroussi, ed il ghiacciaio si trova ormai ad un punto in cui neanche l’abbassamento delle temperature globali potrebbe salvarlo, ed il suo flusso di scioglimento verso il mare è ormai inarrestabile.

Per renderci conto della gravità della situazione, basti pensare che per circa 2000 anni, fino alla fine del XIX sec., i livelli globale del mare sono rimasti pressoché invariati, salvo piccole fluttuazioni. Ma dalla fine del 1800, i livelli hanno iniziato a salire, arrivando agli attuali 20 cm sopra i livelli registrati prima dell’inizio del riscaldamento globale. 20 cm in 100 anni, ovvero meno della metà di quello che potrebbe provocare il Thwaites con altri 50 anni.

Alex Robel, assistente professore presso la Georgia Tech’s School of Earth and Atmospheric Sciences, ha annunciato, in base alla ricerca condotta dal suo team, che “se si innesca questa instabilità, non sarà necessario un ulteriore aumento delle temperature globali affinché il ghiacciaio continui a sciogliersi. E questa è la preoccupazione maggiore”. Le variazioni climatiche saranno dunque ancora più importanti per il destino del ghiacciaio che ha raggiunto il suo punto critico, “perché determineranno la velocità con cui il ghiaccio si muoverà”.

 

Il circolo vizioso che porterà al crollo della calotta

L’innalzamento dei livelli dell’acqua o peggio ancora il crollo della calotta del ghiacciaio Thwaites, potrebbe provocare gravi danni a tutte le zone costiere a livello globale. Il 90% dell’acqua del mondo si trova nell’Antartide e la maggior parte dei suoi ghiacciai si trovano sulla terraferma, ed il crollo delle sue calotte potrebbe essere devastante.

Intanto per la particolare topografia della zona, il Ghiacciaio Thwaites continua a sciogliersi, e la sua enorme calotta, nel punto in cui tocca il mare, viene disciolta dalle acque oceaniche, ormai sempre più calde a causa del riscaldamento globale. Così facendo sempre più acqua si insinua sotto la calotta, continuando a scavarla, fino a che non sarà più in grado di reggere il suo peso e crollerà nell’oceano antartico.

Più si scioglie, più acqua riversa nell’oceano e più sale la linea in cui il ghiacciaio tocca il mare, alimentando questo circolo vizioso che porterà alla fine del ghiacciaio, con le sue gravi conseguenze.

Perché così tante persone credono che il viaggio sulla Luna sia stato un grande bluff

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Milioni di persone in tutto il mondo sono convinte che l’uomo non sia sbarcato sulla Luna nel 1969 e che le immagini della NASA siano state registrate in uno studio di Hollywood. Un rumor che dura e che segna la storia delle fake news. Inoltre, bastano pochi clic per trovare migliaia di siti web che mettono in discussione la realtà della missione Apollo 11.

Tutti i tipi di argomentazioni sono usati per giustificare questa teoria: ovvero che la NASA era incapace di una tale impresa tecnologica; che la missione non riguardava gli esseri umani; che nessun uomo sarebbe sopravvissuto alle radiazioni durante il viaggio; e idee ancora più stravaganti come quella secondo la quale le autorità hanno dovuto mascherare la scoperta di una civiltà lunare.

Ma tutte si basano sulle stesse fonti: nelle presunte anomalie rilevate nelle foto e nei video della NASA. La luce e le ombre delle immagini? Sospetto. L’assenza di stelle in alcuni clic? Test di una macchinazione. Così come la bandiera piantata da Neil Armstrong che sembra ondeggiare nonostante il fatto che sulla Luna non ci sia praticamente atmosfera. 

 

Molti dubbi, poche certezze?

Nel 2009, il 25% dei britannici non credeva nella verità di quell’evento e nel 2018 neanche il 57% dei russi lo fece. Mentre la comunità scientifica ha smentito tutte queste teorie prove, comprese le immagini del sito di atterraggio ripreso nel 2009, il mito di una menzogna è ancora vivo, e ‘in crescendo‘.

Nel 1969, meno del 5% degli americani dubitava della verità della missione, percentuale che salì al 6% secondo un sondaggio condotto da Gallup nel 1999.

 

Perché questa impresa attrae così tanti scettici? 

Per la sua importanza. Questo episodio di conquista dello spazio è una delle più grandi pietre miliari dell’umanità, che mette in discussione le basi della scienza e il dominio dell’uomo sulla natura.

A differenza di altri eventi storici che sono anche oggetto di teorie cospirative, come l’assassinio del presidente John Fitzgerald Kennedy nel 1963 – il cui fatto non contesta nessuno, nonostante le circostanze – l’arrivo sulla Luna viene messo in discussione nella sua interezza.

Apollo 11 è la prima teoria della cospirazione completamente costruita attraverso una reinterpretazione visiva di un evento attuale: una mise en scène denunciata, insomma. Ma altre ne arriveranno: come i massacri nelle scuole americane o l’attacco al settimanale satirico “Charlie Hebdo” a Parigi nel 2015, etichettati come finzioni con attori.

L’immagine anestetizza la capacità di riflessione“, spiegano gli esperti. Questa negazione della realtà “non dovrebbe sorprenderci“. La cospirazione deve sfruttare una vasta barriera che mescola sfiducia nelle istituzioni, critiche populiste, domande circa la creazione di conoscenza e di critica della scienza.

Il loro successo viene perché queste voci giocano con “le nostre paure più profonde“. Negli Stati Uniti, vengono nutrite in aggiunta alla perdita di fiducia iniziata con la Guerra del Vietnam e in seguito allo scandalo Watergate e, all’estero, da un sentimento anti-americano. Inoltre, “la forza di una tale teoria sopravvive a tutto, dal momento che diventa una credenza accompagnata da proselitismo, con una diffusione senza fine“.

Hayabusa 2 ha completato con successo il secondo touchdown sull’asteroide Ryugu

La sonda giapponese Hayabusa 2 ha effettuato con successo il suo secondo touchdown sull’asteroide Ryugu, per raccogliere nuovamente preziosi campioni del piccolo asteroide che potrebbero svelare importanti informazione sulla storia dell’Universo e la formazione planetaria. Il primo approccio della sonda dell’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA) è stato effettuato con successo lo scorso Febbraio.

Effettuata questa seconda manovra, la JAXA inizierà ora le operazioni per riportare la seconda, con i suoi preziosi campioni, di nuovo sulla Terra. Una volta ritornati sul nostro pianeta i preziosi campioni potranno finalmente essere analizzati.

 

La missione di Hayabusa 2 su Ryugu

É da oltre un anno che Hayabusa 2 studia l’asteroide di quasi 1 km di diametro conosciuto col nome di Ryugu (ispirato dall’eroe di una fiaba giapponese), e dopo il primo touchdown di Febbraio, lo scorso Aprile aveva effettuato il lancio di un proiettile sulla superficie dell’asteroide per poter creare un cratere sulla sua superficie che esponesse le rocce pure ed incontaminate che si trovano sotto la superficie.

Dopo aver avuto successo nella creazione del cratere, Hayabusa ha studiato per mesi il sito, inviando numerose immagini e dati. Dopodiché il team JAXA ha deciso fosse abbastanza sicuro per effettuare il secondo touchdown e raccogliere campioni di quelle rocce pure, mai esposte alle radiazioni o ai venti solari, né ad altri fenomeni spaziali.

Hitoshi Kuninaka, direttore generale della JAXA, ha affermato infatti: “abbiamo confermato che era estremamente probabile che avremmo potuto tranquillamente mettere in sicurezza un secondo touchdown con le attuali capacità del team Hayabusa 2 e del veicolo spaziale. Crediamo che il successo in questa sfida sarà un catalizzatore per molti programmi futuri di scienza spaziale e di esplorazione”.

 

Il successo del secondo approccio della sonda giapponese all’asteroide

Ed è cosi che nella notte tra il 10 e l’11 Luglio, esattamente alle 01:15 ora italiana (in Giappone erano le 10:15 dell’11 Luglio), ha avuto inizio la procedura per l’inizio del campionamento, che è stata trasmessa in diretta web dalla JAXA e che si è conclusa con successo attorno alle 04:00 GMT.

Durante la sua lenta discesa verso la superficie di Ryugu, Hayabusa 2 ha continuato ad inviare immagini dell’asteroide al centro di controllo, che sono poi state interrotte prima del vero e proprio touchdown di campionamento.

È stato sicuramente un grosso rischio per la JAXA. Considerando infatti anche i campioni già raccolti, l’agenzia aveva inizialmente pensato che l’opzione più sicura fosse rinunciare al secondo campionamento e riportare la sonda sulla Terra, ma la voglia di scoprire che cosa contenessero le rocce sotto la superficie di Ryugu ha vinto su tutto. E così il team di Hayabusa 2 ha optato per l’esecuzione temeraria del secondo touchdown, ed è stata premiata con un successo.

Hayabusa 2 ha quindi raccolto il campione proveniente dall’area del cratere, raccogliendo il materiale lanciato in aria dall’impatto con il suo strumento cuneiforme che agisce come un imbuto. 

Ora non ci resta che attendere che Hayabusa riporti sulla Terra quel materiale del sottosuolo di Ryugu, che fino ad Aprile è rimasto al riparo dalle particelle cariche del vento solare, dalle radiazioni e dai raggi cosmici che percorrono lo spazio. L’analisi di questi campioni svelerà la composizione interna di Ryugu, rivelandoci se sia una roccia uniforme e compatta od una patch di materiali diversi.

La missione di investigazione di Hayabusa è dunque terminata, ed ora la sonda può prepararsi per salutare il suo compagno Ryugu e tornare sulla Terra. L’inizio delle operazioni di rientro dovrebbe essere previsto per fine anno.

Apple: i primi iPhone “Made in India” sono arrivati in Europa

Apple iPhone India

Il colosso della mela morsicata, Apple, sta per attuare una vera e propria rivoluzione all’interno della sua catena produttiva. Ne abbiamo parlato svariate volte nel corso degli scorsi mesi. La casa della mela morsicata ha intenzione di produrre grossa parte dei suoi iPhone, anche di ultima generazione, in India. A quanto pare il progetto sta riuscendo alla grande. Sono arrivati in Europa i primi iPhone “Made in India”.

Apple produce iPhone all’interno dell’India da oramai qualche tempo. Fino ad ora, però, la produzione è stata limitata a smartphone datati (iPhone SE) e lo scopo di vendita era all’interno del paese stesso. Da poco, invece, pare sia iniziata la produzione anche di modelli più recenti. Questi non sono più destinati solo al mercato indiano. Scopriamo le novità in merito.

 

Apple: molto presto vedremo iPhone X “Made in India”

Ebbene sì, è dell’ultima ora la notizia riguardante l’arrivo di un considerevole quantitativo di iPhone “Made in India” in Europa. Parliamo di una quantità di circa 100 mila unità. Pare che i modelli ad essere pervenuti siano iPhone 7 e iPhone 6. Stando a quanto dichiarato, queste sarebbero solo le prime scorte “Made in India” ad arrivare nel continente. Ricordiamo, infatti, che con il tempo Apple sposterà sempre di più la produzione dei suoi device in India.

Winstron, l’azienda che si occuperà della produzione, ha dichiarato di essere quasi pronta per l’avvio della produzione di iPhone più recenti. Parliamo, precisamente, di iPhone X. E’ molto probabile quindi che presto vedremo arrivare anche questi device sul nostro mercato. Restate in attesa per ulteriori aggiornamenti a riguardo.

Rinvenuto in Grecia un antichissimo frammento di cranio umano

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Alcuni scienziati affermano di aver identificato il primo segno della nostra specie al di fuori dell’Africa a seguito del recupero di un pezzo di cranio da una grotta nel sud della Grecia. Si stima che il cranio abbia almeno 210.000 anni, rendendo il fossile di circa 16.000 anni più antico di una mascella superiore rinvenuta in Israele, che si pensava fosse la prima scoperta di resti di esseri umani al di fuori dell’Africa.

 

Il frammento appartiene ad un cranio databile a circa 200.000 anni fa

Se verificata, la nuova analisi potrebbe dimostrare che l’Homo sapiens ha iniziato a lasciare il continente africano molto prima di quanto si pensasse. Il fossile in questione, che consiste in un segmento dalla parte posteriore di un cranio, è stato trovato durante uno scavo alla fine degli anni ’70 nella grotta di Apidima, nella regione meridionale del Peloponneso in Grecia. Oggi, è conservato nel museo dell’Università di Atene.

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Solo con l’avvento delle nuove tecnologie è diventato possibile studiare il reperto in dettaglio, secondo Katerina Harvati dell’Università di Tuebingen, in Germania. “Ora possiamo effettuare una risonanza magnetica per cercare di ottenere una rappresentazione del campione nella sua anatomia originale“, ha detto Harvati.

 

Similitudini e differenze tra Homo sapiens e Neanderthal

Abbiamo sezionato più di 60 piccoli frammenti di osso e abbiamo cercato di collocarli secondo la loro posizione originale e rimosso i sedimenti dalle fessure“, ha aggiunto, aggiungendo che due gruppi, ciascuno seguendo criteri diversi, hanno prodotto quattro ricostruzioni uniche, che sono state poi analizzate. “Li abbiamo confrontati con altri teschi fossili provenienti da tutta Europa e dall’Africa, risalenti allo stesso periodo di tempo“, ha detto Harvati.

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I ricercatori hanno concluso che il frammento cranico, etichettato “Apidima 1“, proveniva da un Homo sapien. È stato trovato insieme ad un altro cranio completo, “Apidima 2“, che è stato identificato come appartenente ad un Neanderthal. Altri fossili di esseri umani scoperti al di fuori dell’Africa suggeriscono brevi ed isolate partenze prima dell’esodo dell’Homo sapiens, avvenuto circa 70.000 anni fa, quando la specie si estese dal continente per colonizzare vaste porzioni di territorio in tutto il mondo.

 

Le teorie degli scienziati hanno bisogno di ulteriori dati per essere confermate

Gli scienziati hanno concluso che tali escursioni furono probabilmente fallimentari, dal momento che l’Homo sapiens che si estinse senza lasciare eredità genetiche nelle persone viventi oggi. Warren Sharp, esperto di datazione di fossili presso il Centro di geocronologia di Berkeley in California, ha affermato che l’età di 210.000 anni non è sufficientemente coerente con i dati in possesso dagli scienziati. Ian Tattersall, dell’American Museum of Natural History di New York, ha ritenuto che identificare il fossile come appartenente ad un Homo sapien è una teoria piuttosto “traballante“.

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La sua forma è suggestiva, ma incompleta e priva di caratteristiche che renderebbero l’identificazione più certa. In risposta, Harvati ha affermato che la parte posteriore del cranio è molto utile per differenziare l’Homo sapiens dai Neanderthal e da altre specie affini. Tuttavia, Harvati ha dichiarato in una conferenza stampa che non è chiaro se gli scienziati saranno in grado di recuperare DNA o proteine ​​dal fossile per confermare le loro teorie.

Fortnite: in arrivo tre bundle esclusivi per PlayStation 4

Fortnite Versa bundle

Il colosso del fenomeno videoludico degli ultimi tempi, Epic Games, sembra non volere arrestare il fiume di collaborazioni con le più svariate aziende. Nelle scorse ore, Sony ha annunciato l’arrivo di ben tre differenti bundle in esclusiva per PlayStation 4. Ovviamente, questi conterranno contenuti inediti di Fortnite. Di cosa si tratterà?

Non è la prima volta che si parla di collaborazioni tra Epic Games e Sony. Oltre alle esclusive PS Plus, Fortnite ha collaborato con PlayStation anche per il lancio di un esclusivo bundle PS4 + Skin qualche mese fa. Quest’estate, i bundle esclusivi saranno ben tre. Questi conterranno, oltre a vari prodotti, una Skin e tanti V-Bucks. Andiamo a scoprirli uno ad uno.

 

Fortnite: ecco i tre bundle in esclusiva per PlayStation 4

Come già detto, sono stati annunciati ben 3 bundle esclusivi di Fortnite in arrivo quest’estate. Tutti e tre saranno incentrati su una Skin che solo coloro che acquisteranno questi bundle potranno avere, Blue Versa. Questa ovviamente sarà corredata dal suo dorso decorativo Neo Phrenzy Back Bling. Il set avrà rarità Epica. I bundle conterranno anche V-Bucks in quantità variabili. Andiamo ad elencarli uno ad uno.

Il primo risulta essere quello più costoso, parliamo infatti di quello contenente una PS4 Pro da 1 Tb di memoria interna, la Skin con il suo dorso decorativo e ben 2000 V-Bucks. Il secondo, invece, è una novità assoluta e comprende un paio di cuffie wireless PlayStation 4 Gold, la Skin con il dorso decorativo e 2000 V-Bucks. L’ultimo, e anche più economico è quello che comprende il controller classico nero della console, la Skin con il dorso decorativo e 500 V-Bucks. Tutti e tre i bundle saranno disponibili a partire dal prossimo 24 luglio. Restate in attesa per ulteriori aggiornamenti a riguardo.

Apple disabilità l’app Walkie talkie a causa di un problema di sicurezza

Apple Walkie talkie

Apple risulta essere una delle aziende tecnologiche più attive per quanto riguarda la salvaguardia della privacy degli utenti. L’azienda, infatti, propone periodicamente aggiornamenti volti a migliorare la sicurezza dei suoi dispositivi. Un esempio lampante è il nuovo iOS 13 che promette di fare grandi cose sotto questo aspetto. Come tutte le case, però, questa non è perfetta. Nelle scorse ore è stata trovata una falla nell’app Walkie talkie di Apple Watch.

Ebbene sì, nonostante il colosso di Cupertino sia sempre molto attento agli aspetti riguardanti la privacy, ogni tanto capita che vengano fuori delle falle di sicurezza. Negli scorsi mesi vi abbiamo parlato della grossa falla, ormai risolta, riguardante l’app FaceTime sui dispositivi Apple. Oggi, invece, andiamo a parlare di un problema che affligge lo smartwatch della casa. Scopriamo cosa è successo.

 

Apple: Walkie talkie ha un grosso problema all’interno

Nelle scorse ore, il colosso di Cupertino ha deciso di sospendere la funzione Walkie talkie sui suoi smartwatch. L’app continuerà ad essere presente sui dispositivi ma non potrà essere utilizzata fino al rilascio di un aggiornamento. L’azienda ha fatto sapere di essere venuta a conoscenza di un bug che avrebbe potenzialmente permesso a terzi di ascoltare le conversazioni degli utenti tramite l’app senza il loro consenso.

Il bug è stato segnalato attraverso la pagina dedicata Apple. La casa ha fatto sapere di essere già al lavoro su un modo per mettere fine al problema. Tra non molto dovrebbe essere rilasciato un aggiornamento specifico per questa caratteristica. Restate in attesa per ulteriori aggiornamenti a riguardo.

Stress, nelle donne in menopausa può indebolire le ossa dello scheletro

I ricercatori hanno scoperto che la rottura del matrimonio e il lutto potrebbero scatenare fratture ossee fragili in donne di mezza età. Hanno scoperto che le donne che soffrivano di stress emotivo estremo avevano maggiori probabilità di soffrire di ossa indebolite.
I ricercatori dell’Università dell’Arizona ritengono che lo stress causi fluttuazioni degli ormoni che possono causare una perdita di densità ossea, lasciando le donne vulnerabili a rotture anche da cadute minori.

 

Lo stress può indebolire lo scheletro

Una donna su tre e un uomo su cinque di età superiore ai 50 anni subirà una frattura da fragilità a un certo punto della loro vita. L’osteoporosi, la ragione più comune per un osso rotto tra gli anziani, è una malattia in cui le ossa diventano fragili e deboli mentre il corpo perde più massa ossea di quanto possa ricostruire. Colpisce più di tre milioni di persone nel Regno Unito e 500.000 persone soffrono di fratture da fragilità ogni anno.

Gli scienziati hanno rintracciato 11.000 donne in post-menopausa tra i 50 e i 79 anni. Alle donne, che erano monitorate per sei anni, è stato chiesto all’inizio dello studio sulla loro esperienza di stress, compresi tensioni sociali come la disgregazione della famiglia e delle relazioni e il lutto. Sono stati quindi assegnati un punteggio su 20, con punteggi più alti che indicano un maggiore sforzo sociale.

I ricercatori hanno trovato per ogni punto aggiuntivo sul punteggio dello stress, la densità della massa ossea è stata ridotta di una media dello 0,08% nelle ossa del collo, dello 0,1% nelle ossa dell’anca e dello 0,7% nella colonna vertebrale.

Scrivendo nel BMJ Journal of Epidemiology and Community Health, hanno affermato: “Abbiamo identificato specifici fattori di stress psicosociale relativi all’ambiente sociale associati alla perdita di tessuto osseo. Abbiamo scoperto che la perdita ossea è tra le risposte allo stress fisiologico più strettamente correlate alla qualità delle relazioni sociali rispetto alla quantità. “

Hanno detto che credevano che questo fosse perché lo stress può causare livelli fluttuanti di ormoni come cortisolo, ormoni tiroidei, ormoni della crescita e glucocorticoidi, che hanno un impatto sulle ossa. Circa il 60 per cento delle persone anziane che soffrono di una frattura non riacquistano mai la propria indipendenza.

I ricercatori hanno spiegato: “Lo stress psicosociale può aumentare il rischio di frattura attraverso la degradazione della densità minerale ossea.

“[Abbiamo trovato] un maggiore sforzo sociale e un minore funzionamento sociale sono stati associati a una maggiore perdita di densità minerale ossea del collo femorale e dell’anca totale. La perdita di ossa tra le donne anziane aumenta la suscettibilità alle fratture attraverso molti fattori di rischio. “

E hanno chiesto il sostegno per le donne che soffrono di interruzione della relazione, traumi psicologici e perdita, con l’obiettivo di ridurre il rischio. Hanno scritto: “Questi risultati supportano interventi per migliorare lo stress da relazioni sociali negative nelle donne in post-menopausa, che possono potenzialmente limitare la perdita di tessuto osseo e, infine, ridurre le fratture”.

Violare una “soglia di carbonio” potrebbe portare all’estinzione di massa

Nel cervello, quando i neuroni sparano segnali elettrici ai loro vicini, questo avviene attraverso una risposta “tutto o niente”. Il segnale si verifica solo quando le condizioni nella cella superano una certa soglia.
Ora un ricercatore del MIT ha osservato un fenomeno simile in un sistema completamente diverso: il ciclo del carbonio terrestre. Daniel Rothman, professore di geofisica e condirettore del Centro Lorenz nel Dipartimento di Terra, Scienze atmosferiche e planetarie del MIT, ha scoperto che quando la velocità con cui il biossido di carbonio entra negli oceani supera una certa soglia, sia come risultato di un improvviso scoppio o un afflusso lento e costante – la Terra può rispondere con una cascata di feedback chimici in fuga, che porta a un’acidificazione estrema dell’oceano che amplifica drammaticamente gli effetti del trigger originale.

 

Attenzione a non superare la soglia del carbonio nell’ambiente

Questo riflesso globale provoca enormi cambiamenti nella quantità di carbonio contenuto negli oceani della Terra, ei geologi possono vedere la prova di questi cambiamenti in strati di sedimenti preservati in centinaia di milioni di anni. Rothman guardò attraverso questi documenti geologici e osservò che negli ultimi 540 milioni di anni, la riserva di carbonio dell’oceano cambiò bruscamente, poi si riprese, dozzine di volte in modo simile alla brusca natura di un picco di neuroni.

Questa “eccitazione” del ciclo del carbonio si è verificata più drammaticamente vicino al tempo di quattro delle cinque grandi estinzioni di massa nella storia della Terra. Gli scienziati hanno attribuito vari trigger a questi eventi e hanno ipotizzato che i cambiamenti nel carbonio oceanico che seguivano fossero proporzionali al trigger iniziale, ad esempio, minore è il trigger, minore è la ricaduta ambientale. Ma Rothman dice che non è il caso. Non importava cosa causasse inizialmente gli eventi; per circa metà delle interruzioni nel suo database, una volta messi in moto, la velocità con cui il carbonio aumentava era essenzialmente la stessa. Il loro tasso caratteristico è probabilmente una proprietà del ciclo del carbonio stesso, non i fattori scatenanti, poiché i diversi trigger funzionerebbero a velocità diverse.

Che cosa ha tutto questo a che fare con il nostro clima moderno? Gli oceani di oggi assorbono carbonio di un ordine di grandezza più veloce del peggiore dei casi nel record geologico: l’estinzione del Permiano. Ma gli esseri umani hanno pompato anidride carbonica nell’atmosfera per centinaia di anni, contro le decine di migliaia di anni o più necessari per le eruzioni vulcaniche o altri disturbi per innescare le grandi interruzioni ambientali del passato. Potrebbe il moderno aumento del carbonio essere troppo breve per eccitare un grande sconvolgimento?

Secondo Rothman, oggi siamo “al precipizio dell’eccitazione” e, se si verificasse, il picco risultante – come evidenziato dall’acidificazione degli oceani, dalle estinzioni di specie e molto altro – è probabile che sia simile alle catastrofi globali del passato. “Una volta superata la soglia, il modo in cui ci siamo arrivati ​​potrebbe non avere importanza”, afferma Rothman, che sta pubblicando i suoi risultati questa settimana negli Atti della National Academy of Sciences. “Una volta superato, hai a che fare con il modo in cui funziona la Terra, e procede per conto suo.”

Questo verme che mangia le rocce potrebbe alterare il corso dei fiumi

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Per molto tempo alcuni vermi marini, un gruppo di vongole di acqua salata con corpi lunghi, morbidi e nudi, sono stati considerati una minaccia per l’umanità. Queste creature si distinguono per mangiare il legno e la loro insaziabile avidità ha portato a rosicchiare vecchie navi, moli e anche le dighe olandesi nella metà del XVIII secolo, causando danni enormi.

 

Cambio di dieta

Tuttavia, ora i ricercatori hanno scoperto una varietà di questo tipo di vermi, che ha abbandonato la dieta a base di legno e l’ha cambiata in cibo molto più difficile: rocce e pietre.

I vermi marini, che in realtà sono vongole, sono creature bianche che possono raggiungere anche un metro di lunghezza e vivere principalmente in acqua dolce. La nuova specie (Lithoredo abatanica) è stata scoperta sulle rive del fiume Abatan nelle Filippine.

Sebbene esistesse già una registrazione di questa specie dal 2006, non è stato fino al 2018 che i ricercatori sono stati in grado di esaminare questo esemplare in dettaglio.

Queste analisi hanno rivelato che i vermi che si nutrono di rocce sono significativamente diversi dai loro omologhi mangiatori di legno. Tutti i tipi hanno due alloggiamenti ridotti che sono stati modificati per essere utilizzati come teste di foratura.

 

Simbiosi batterica

Nei vermi che mangiano il legno, questa carcassa è dotata di centinaia di denti piccoli ma estremamente affilati, che permettono loro di fare buchi nel legno morbido e fradicio. Al contrario, nella L. abatanica, il guscio è rivestito con dozzine di denti dallo spessore millimetrico, con cui le pietre sono perforate.

A causa della sua natura, la L. abatanica può alterare le formazioni rocciose e influenzare il flusso e il corso dei fiumi. I vermi d’acqua salata hanno uno speciale sacchetto per conservare il legno che mangiano, dove un particolare tipo di batteri lo degrada. Allo stesso modo, i vermi che si nutrono di rocce usano lo stesso metodo, consumando ciò che raschiano per creare una tana protettiva o una casa per se stessi.

Tuttavia, a differenza dei vermi d’acqua salata, non hanno uno speciale sacco digestivo, né hanno batteri speciali che i vermi che mangiano il legno usano per digerire ciò che mangiano. I risultati hanno rivelato che la L. abatanica non ottiene il sostentamento delle rocce che mangiano. Sembra che dipendono solo dai batteri presenti nelle loro branchie per ottenere i nutrienti.

A causa della loro natura, i vermi marini possono causare danni ai fiumi, cambiando il loro corso e cambiando le formazioni rocciose. Tuttavia, queste tane possono essere utilizzate anche da altri animali, come le lumache e altri tipi di piccoli pesci.

Marte: anche la Cina andrà a caccia di vita sul Pianeta Rosso

La Cina ha annunciato di aver portato a termine la costruzione del suo rover per una sua prima missione su Marte, il cui lancio è previsto nel 2020. Dopo la Luna quindi la Cina punta al Pianeta Rosso e lo scopo principale della missione sarà quello di cercare tracce di vita sull’inospitale Marte.

 

La ricerca della vita e la possibilità di colonizzare Marte

Oltre alla ricerca della vita, la missione cinese cercherà anche di indagare sulla possibilità di rendere il Pianeta Rosso abitabile per gli essere umani in futuro. A questo scopo il rover cinese raccoglierà dati sull’atmosfera e le caratteristiche geologiche, magnetiche e topografiche di Marte. Questi dati saranno poi analizzati nell’ottica di capire se sia possibile per l’uomo, esplorare un giorno in maniera diretta la superficie del pianeta e, perché no, magari anche arrivare a colonizzarlo.

Il lancio della missione e l’atterraggio del rover su Marte, saranno programmati in modo da coincidere con il massimo avvicinamento del pianeta alla Terra, che si verifica ogni 26 mesi e dura circa un mese. Una volta che il rover cinese sarà in prossimità della superficie marziana, seguiranno i famosi sette minuti di terrore in cui, dato il ritardo di 10 minuti delle comunicazioni Terra-Marte, non si avranno notizie sul successo o meno dell’atterraggio.

E come sappiamo l’atterraggio su Marte è sempre un momento molto delicato e fino ad ora soltanto 19 su 45 missioni di diversa natura, hanno avuto successo nel loro approccio all’inospitale pianeta. Il Pianeta Rosso è infatti sferzato come sappiamo da violente tempeste di sabbia ed ha un atmosfera molto labile e meno densa rispetto a quella della Terra, che lo lascia esposto ai venti solari e alle radiazioni.

 

La determinazione cinese nel superare tutte le sfide del progetto

Ma il team cinese si è dichiarato pronto ad affrontare le sfide che pone Marte. Pang Zhihao, un esperto nella tecnologia di esplorazione dello spazio ha infatti dichiarato: “sebbene la missione cinese su Marte sia iniziata in ritardo, abbiamo un buon punto di partenza nel design del rover. E noi siamo pronti ad affrontare le sfide”.

Secondo Sun Zezhou, capo progettista della sonda lunare cinese Chang’e-4, la progettazione del rover per la missione su Marte si è rivelata molto insidiosa e difficile ma, come ha egli stesso dichiarato, “è la pressione a determinare il progresso tecnologico”.

Con queste buone premesse e tanta determinazione, il lancio del razzo Changzheng 5, che trasporterà il rover in orbita nello spazio, è previsto per l’estate del 2020, in Luglio od Agosto e sarà effettuato dal cosmodromo di Wenchang. Se le aspettative del team cinese non saranno disattese e l’atterraggio avrà successo, il rover potrebbe iniziare a trasmettere le sue prime informazioni sul pianeta Rosso già nel 2021.

Non ci resta quindi che attendere poco più di un anno per scoprire quale sarà l’esito dell’insidioso approccio cinese a Marte.

Un pappagallo australiano alla corte di Federico II nel Medioevo

Cosa ci fa un pappagallo australiano in una raccolta di illustrazioni medievali …secoli prima della scoperta dell’Australia?

L’Australia è notoriamente l’ultimo continente scoperto. Tradizionalmente si attribuisce al luogotenente della Royal Navy, James Cook, il primo sbarco ed esplorazione ufficiale di queste terre, nonché la rivendicazione a favore della Corona britannica, avvenuta nel 1770. Ma dovremmo parlare appunto di esplorazione e non di scoperta, visto che molti altri navigatori europei hanno “visitato” le coste dell’Australia, della Nuova Zelanda e le loro isole.

 

I primi europei in Australia

Ma torniamo ancora a ritroso nel tempo, di più di 160 anni, quando il navigatore olandese Willem Janszoon è il primo europeo a lasciare documentazione sullo sbarco in queste terre. Già da tempo la Compagnia Olandese delle Indie Orientali aveva intessuto una rete commerciale con le isole dell’attuale Indonesia, vicinissime al continente australiano.

Probabilmente già agli inizi del 1600 esploratori portoghesi al soldo della Corona spagnola avevano “bazzicato” questi luoghi, ma da amante della Storia dell’Arte quale io sono, voglio menzionare una pala d’altare di Andrea Mantegna che ci fa indietreggiare ancora di un secolo abbondante, esattamente al 1496 quando gli venne commissionata dal Marchese di Mantova, Francesco II Gonzaga. Su questa grande tavola devozionale, che oggi si trova al Louvre, il Mantegna dipinse una Madonna con Bambino, Santi e il committente inginocchiato, il tutto immerso in una paradisiaca scena pienamente rinascimentale, con tanto di ghirlande, frutti ed alcuni bellissimi volatili …tra cui un bianco Cacatua.

Madonna della Vittoria del Mantegna, dove è raffigurato, tra gli altri uccelli, anche un Cacatua australiano

Questa specie di pappagallo è presente in un areale molto ristretto, trovandosi in natura solo in Australia e isole vicine, il che ci fa capire che il Mantegna ne fosse venuto in contatto o a conoscenza già in contemporanea con la scoperta del Nuovo Continente …figuriamoci quella del Nuovissimo (appunto l’Australia).

 

Il cacatua, un pappagallo australiano, in un illustrazione medievale

Ma continuiamo ancora questo nostro percorso a ritroso nel tempo, giungendo finalmente al cuore della notizia: Heather Dalton, la coautrice di una ricerca dell’Università di Melbourne (appunto in Australia) che hanno esaminato un antichissimo codice risalente al XIII secolo. Il codice in questione è una raccolta di illustrazioni e scritti su pergamena opera dell’Imperatore Federico II di Svevia: “De arte venandi cum avibus”, cioè “sull’arte di cacciare con gli uccelli” (rapaci). Infatti come molti medievisti sanno, lo “Stupor Mundi” era un appassionato di caccia col falcone, cosa che lo ha portato a questa medievale enciclopedia su rapaci, uccelli palustri e non, attrezzature per la caccia e molto altro, che riempiono ben 111 pagine oggi conservate nella Biblioteca Vaticana.

Federico II con falcone da caccia

Ma cosa hanno trovato questi ricercatori esaminando questo trattato di ben 750 anni fa? In mezzo a 900 illustrazioni di falchi, aironi e uccelli più comuni, c’è un inconfondibile disegno di un Cacatua sulphurea, volgarmente detto Cacatua cresta gialla. Ed è proprio questa cresta retrattile una caratteristica di questa specie autoctona del continente australiano, che anticipa di moltissimo gli scambi commerciali col Nuovissimo Mondo. L’uccello infatti pare sia un dono del sultano egiziano a Federico II Hoenstaufen, giunto alla sua corte in Sicilia dopo aver viaggiato migliaia di chilometri attraverso il Medio Oriente, che chiaramente era già in connessione con le coste dell’attuale Australia.

Illustrazione del codice manoscritto “De Venandi cum Avibus” raffigurante un Cacatua dalla cresta gialla

E con questa parola “Australia” concludiamo, facendo un ultimo scatto a ritroso nei secoli: già gli antichi Greci e Romani immaginavano (o conoscevano?) l’esistenza di una terra al di sotto dell’Europa, la cosiddetta “Terra Australis”, cioè “terra meridionale”, da cui poi deriverà appunto il nome Australia.

Negli Stati Uniti le notizie sui cambiamenti climatici vengono censurate

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Ci sono paesi più di altri che vedono nelle teorie e negli studi legati ai cambiamenti climatici solo un modo per rallentare la crescita economica dei paesi. Un esempio può essere tranquillamente gli Stati Uniti che grazie al loro presidente si sono ritirati dall’Accordo di Parigi. Fa parecchio strano vedere un paese del genere rinnegare la conoscenza portata da molti ricercatori che sono passati per quelle terre. In ogni caso, se la scelta di Trump di uscire dall’accordo sopracitato è sicuramente una scelta scellerata, la censura è anche peggio.

Apparentemente si è scoperto che in alcuni studi legati ai cambiamenti climatici portati avanti dallo United States Geological Survey, o USGS, sono stati omessi dettagli importanti su uno studi condotto da loro stessi. Il focus della ricerca era l’effetto dei cambiamenti climatici sul livello degli oceani e l’impatto sulle coste della California. In realtà era così perché nel momento della divulgazione del risultato finale il tutto è stato distorto.

 

Gli Stati Uniti, i cambiamenti climatici e la censura

Secondo lo studio il danno per lo stato, che tra l’altro risulta essere uno dei più ricchi al mondo preso singolarmente, il danno dell’innalzamento potrebbe arrivare a costare al paese ben 150 miliardi di dollari per il 2100 e in ogni caso ci sono a rischio oltre mezzo milione di persone. Già solo per il 2040 il danno potrebbe arrivare a 30 miliardi di dollari e oltre 150.000 persone.

Questo è quello che diceva lo studio originario, ma nel momento della pubblicazione non è stato fatto riferimento ai cambiamenti climatici. Nel comunicato si parla solamente di come nei prossimi anni si sarebbero presentati per gli enti governativi e commerciali grosse possibilità di guadagno dovute alla necessitò di nuove panificazioni per le infrastrutture future. Secondo un’indagine questo cambiamento nella pubblicazione è dovuto all’amministrazione Trump la quale ha fatto sapere che non erano autorizzati a fare riferimento a tale fenomeno.

Apple ha aggiornato silenziosamente la sua gamma di MacBook Air e Pro

Apple MacBook aggiornati

L’azienda della mela morsicata ha presentato la nuova generazione di MacBook Air lo scorso ottobre. Nessuno si aspettava che questa potesse aggiornare il device così presto. Nelle scorse ore, Apple ha deciso di lanciare a sorpresa non solo un modello aggiornato di MacBook Air, ma anche uno di MacBook Pro. Cosa cambierà rispetto ai modelli precedenti?

Ebbene sì, si ritorna a parlare del lancio di prodotti senza una vera e propria presentazione. Pare che il colosso di Cupertino abbia preferito rilasciare un comunicato stampa per annunciare l’arrivo delle nuove varianti aggiornate di MacBook Air e MacBook Pro. Andiamo a scoprire di cosa si tratta.

 

Apple: ecco i nuovi MacBook Air e MacBook Pro 13”

A meno di un anno dal suo lancio, Cupertino ha deciso di aggiornare il suo MacBook Air con una novità molto interessante. Tutto rimane invariato, a cambiare è il display e il prezzo. Il nuovo dispositivo, infatti, presenta finalmente un display True Tone che gli garantisce un’esperienza di visualizzazione migliore. Il prezzo di listino, invece, scende un po’. Si passa a 1279 euro dai 1379 euro. 100 euro in meno.

Novità più sostanziose per quanto riguarda i modelli base di MacBook Pro 13”. Ora anche i modelli più economici presentano Touch Bar e Touch ID. Inoltre, Cupertino ha implementato anche su di essi i processori Intel Core i5 di ottava generazione. Ciò permetterà di raggiungere prestazioni decisamente più elevate. Il prezzo di base rimane invariato, 1549 euro. Ricordiamo che presto potrebbe essere lanciato anche un nuovo MacBook Pro da 16 pollici. Restate in attesa per ulteriori aggiornamenti a riguardo.

Apple Music: la prova gratuita per gli studenti raddoppia a 6 mesi

Apple Music Messenger add-on

Spesso ci troviamo a parlare di promozioni riguardanti i prodotti della mela morsicata. Ultimamente, infatti, è possibile trovare molti sconti sui prodotti di Cupertino all’interno di Amazon e non solo. L’unica a non proporre quasi mai offerte è Apple stessa. Questa lo fa solo in rarissime occasioni. Una di queste riguarda la scuola. Nelle scorse ore, l’azienda della mela morsicata ha dato il via al classico programma annuale “Back to school”.

Oramai è una tradizione. Apple propone il programma da molti anni. L’iniziativa è un ottimo modo per poter risparmiare sui prodotti e servizi della mela morsicata. Ovviamente, a doverne usufruire devono essere gli studenti iscritti regolarmente ad una università. Quest’anno tra le novità della promozione ce n’è una riguardante Apple Music. Scopriamola.

 

Apple Music in promozione per l’iniziativa “Back to school”

Apple propone Apple Music in sconto per tutti coloro che sono degli studenti. Il prezzo per loro è dimezzato, 4,99 euro al mese invece di 9,99. Fino ad ora, però, non si era mai parlato di promozioni sul periodo di prova. Per invogliare l’utilizzo del suo servizio di streaming musicale. Cupertino ha deciso di proporre a tutti gli studenti che provano per la prima volta il servizio, ben 6 mesi di prova gratuita. Ciò solo ed esclusivamente in occasione dell’iniziativa “Back to school”.

Attualmente, la promozione riguardante Apple Music per gli studenti è stata annunciata solamente negli Stati Uniti. Tuttavia, presto potrebbe essere estesa anche agli altri paesi, Italia compresa. Restate in attesa per eventuali aggiornamenti a riguardo.

Fortnite: scopriamo le sfide della settimana 10 della Stagione 9

Fortnite Scatto dell’Orda

Novità in arrivo in casa Epic Games. Pare, infatti, che l’azienda del fenomeno videoludico degli ultimi tempi stia preparando qualcosa di grosso per la Stagione 10 di Fortnite. In molti addirittura pensano che sarà rilasciata una nuova mappa di gioco. Nel frattempo che attendiamo, però, sono uscite le sfide della settimana 10 della Stagione 9. Andiamo a scoprire insieme l’ultimo set di challenge della Stagione.

Ebbene sì, anche la Stagione 9 di Fortnite sembra essere giunta al termine. Le ultime sfide disponibili, infatti, saranno rilasciate a breve. Ricordiamo, però, che questa Stagione durerà 12 settimane circa. Di conseguenza, avrete tutto il tempo per completarle in tranquillità. Andiamo a elencarle una ad una.

 

Fortnite: ecco le sfide dell’ultima settimana della Stagione 9

Non ci sono cambiamenti sull’impostazione delle challenge. Queste, infatti, continuano ad essere ben 7. Come al solito, 3 sono aperte a tutti i giocatori mentre 4 sono riservate ai possessori del Pass Battaglia. La ricompensa finale sarà un totale di 50 stelle del Battle Pass e 10 mila punti esperienza se si completano almeno 4 delle 7 sfide. Di seguito andiamo a riportare tutte le challenge:

1) Usa un Attacco Aereo in partite diverse. 2) Infliggi danni agli avversari con fucili a pompa. 3) Cerca sette scatole di munizioni in una singola partita. 4) Visita diversi annunci di pubblico servizio presso Neopinnacoli, Impianto a Pressione o Grandi Megazzini. 5) Raccogli legno da una nave pirata o da una nave vichinga (sfida a 3 fasi) 6) Elimina avversari a Parco Pacifico o Palmeto Paradisiaco. 7) Infliggi danni agli avversari con un piccone.

Ricordiamo che una volta completate tutte e 7 le sfide si riceverà anche un’esclusiva schermata di caricamento. Restate in attesa per eventuali aggiornamenti a riguardo.

 

Zoom: una falla nell’app attiva le nostre webcam senza permesso

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Una falla nella sicurezza in un’applicazione per Apple Mac utilizzata per chiamate in videoconferenza è stata scoperta da un ricercatore; se sfruttata per loschi fini potrebbe consentire agli hacker di spiare le persone attraverso le loro webcam. L’ingegnere del software Jonathan Leitschuh ha scoperto il bug all’interno dell’app Zoom e ha avvertito gli utenti che non avrebbero risolto il problema semplicemente disinstallando l’app.

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In una pubblicazione in cui egli descrive nel dettaglio il problema relativo alla sicurezza, Leitschuh ha stimato che oltre 4 milioni di webcam siano a rischio, insieme a 750.000 aziende in tutto il mondo. “Questa vulnerabilità consente a qualsiasi sito web di unirsi forzatamente ad un utente impegnato in una chiamata tramite Zoom, con la videocamera attivata, senza alcun tipo di permesso da parte dell’utente“, ha scritto. “Inoltre, disinstallare e reinstallare l’app non elimina una serie di file dal nostro computer, che reinstalleranno il client Zoom al nostro posto, senza richiedere alcuna interazione da parte dell’utente“.

 

L’azienda di Zoom non ha commentato in alcun modo

Questo “grimaldello digitale” funziona sfruttando una funzionalità di Zoom che consente alle persone di inviare un collegamento alla riunione per unirsi ad una videoconferenza. Questo collegamento consente essenzialmente al sito di avviare forzatamente una videochiamata tramite l’app Zoom, senza che la persona dall’altra parte debba accettare. La vulnerabilità è stata originariamente segnalata a Zoom a marzo, ha scritto Leitschuh, che ha semplicemente distribuito un aggiornamento che non è stato in grado di risolvere completamente il problema.

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In definitiva, l’azienda non è riuscita a confermare rapidamente che la vulnerabilità segnalata esista realmente e non è riuscita a risolvere tempestivamente il problema“, ha scritto Leitschuh. “Un’azienda di questo profilo e con una base di utenti così ampia avrebbe dovuto essere più reattiva nel proteggere i propri utenti dagli attacchi“. Zoom infatti non ha risposto ad alcuna richiesta di commento. Mentre la disinstallazione dell’app non impedisce di sfruttare la vulnerabilità, Leitschuh ha osservato che gli utenti possono proteggersi disattivando la possibilità per Zoom di accendere la webcam quando ci si unisce a una riunione.

L’auto supersonica Bloodhound tenterà di raggiungere i 1.000 km/h

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L’auto supersonica Bloodhound è pronta a prendere parte ad una serie di test ad alta velocità in Sud Africa come parte della sua campagna per raggiungere i 1.000 chilometri orari. Mirerà a raggiungere i 500 chilometri all’ora nei suoi test prima di tentare di battere il record di velocità terrestre di 763 chilometri orari e quindi iniziare la corsa verso il suo obiettivo finale. Il veicolo percorrerà la pista Hakskeen Pan questo ottobre.

 

La Bloodhound tenterà l’impresa in memoria del suo glorioso passato

Bloodhound ha raggiunto i 200 km/h al Cornwall Airport Newquay nel 2017 e il suo pilota Andy Green spera che il progetto possa essere costruito sul glorioso passato dell’auto, raggiungendo la massima velocità proprio nel deserto in cui la macchina era inizialmente progettata per correre. “È qui che la scienza incontra la realtà e tutto inizia a diventare davvero eccitante“, ha affermato. Più di 300 telecamere e sensori incorporati nell’auto raccoglieranno i dati che saranno analizzati da accademici e studenti della Swansea University.

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L’imprenditore Ian Warhurst ha deciso di salvare il progetto dall’amministrazione l’anno scorso, acquistando l’auto per una somma tutt’ora non rivelata, e da allora ha sostenuto sempre più convintamente la campagna. Warhurst ha dichiarato che il veicolo avrebbe dovuto effettuare fino a 10 corse di prova prima di tentare di raggiungere la velocità record. “Questa campagna è diversa dalle altre, con le opportunità offerte dalla tecnologia digitale che hanno consentito al team di testare il design dell’auto utilizzando la fluidodinamica computazionale e che ci consentiranno di raccogliere e condividere dati sulle prestazioni dell’auto in tempo reale“, ha detto Warhurst.

 

Si tratta di un vero “mostro”: velocissimo e quasi incontrollabile

Il motore a reazione della Rolls-Royce dell’auto, che può percorrere un quasi un chilometro in 3,6 secondi a piena velocità, verrà utilizzato per testare le sue prestazioni e la sua maneggevolezza. A questo punto, la stabilità del Bloodhound non è più controllabile dalle ruote dell’auto sulla superficie del deserto ma dalla sua aerodinamica. Ciò significa che la presa dalle ruote si annullerà più velocemente rispetto alle forze aerodinamiche accumulate.

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Warhurst ha spiegato: “Non possiamo percorrere due volte lo stesso pezzo di terreno perché l’auto romperà la superficie al suo passaggio. Abbiamo bisogno di più tracciati in modo da poter raggiungere e studiare la velocità lentamente e in sicurezza, confrontando i risultati delle singole corse con i dati tecnici, e Hakskeen Pan è il posto perfetto per farlo”. “Anche la superficie è dura“, continua Warhurst, “il che significa che abbiamo dovuto progettare ruote leggermente più strette in modo da ridurre la resistenza aerodinamica“.