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Apple: gli ultimi modelli di iPhone a prezzi imperdibili su Amazon

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iPhone XS, iPhone XS Max e iPhone XR risultano essere tra i smartphone Apple più criticati in assoluto. Pare, infatti, che questi non abbiano raggiunto le aspettative di molti utenti. In Cina, addirittura, questi hanno venduto poco e niente. Ciò non toglie, però, che siano degli ottimi prodotti. Nelle scorse ore, Amazon ha deciso di proporre interessanti offerte sugli ultimi modelli.

Ebbene sì, gli sconti sugli ultimi iPhone non sono più un mito. Amazon è diventato rivenditore ufficiale dei prodotti della mela morsicata. Questa cosa ha permesso all’azienda di proporre offerte mai viste prima. In questo articolo andiamo a passare in rassegna le più interessanti promozioni riguardanti gli ultimi modelli di iPhone: iPhone XS e iPhone XR.

 

Apple: iPhone XS a meno di 1000 euro su Amazon

iPhone XS è uno degli smartphone più costosi in assoluto presenti sul mercato. Il listino, infatti, per la versione base con 64 GB di memoria interna tocca i 1190 euro. Amazon, ha deciso di proporre questa variante con uno sconto del 20%, 989 euro. Uno dei prezzi più bassi mai visti fino ad ora. Parliamo di uno sconto di 200 euro. Ad essere in promozione, però, è la sola colorazione argento. Non scampa alla promozione iPhone XS Max che nelle varianti grigia siderale e oro con memoria interna da 256 GB viene proposto a 1249 euro, uno sconto di 210 euro rispetto al listino di 1460 euro.

L’iPhone colorato, ovviamente, non poteva sfuggire anch’esso alla promozione. iPhone XR nelle colorazioni rossa, nera, corallo e blu con memoria interna da 128 GB viene proposto allo strabiliante prezzo di 749 euro. Anche in questo caso parliamo di uno sconto di 200 euro rispetto al prezzo di listino. Ricordiamo che le promozioni risultano essere a tempo limitato e che potrebbero terminare da un momento all’altro. Restate in attesa per ulteriori aggiornamenti a riguardo.

 

Deserto oceanico: finalmente si è scoperto chi ci vive

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In termini di biologia marina, esiste un punto nell’Oceano Pacifico noto come deserto oceanico. Questo perché finora si è pensato che la vita in quel luogo era pressoché zero tanto che era conosciuto solo come una discarica di satelliti; esatto, la maggior parte dei satelliti viene programmata per schiantarsi in questo punto della Terra in quando è il punto più isolato del mondo e non c’è rischio di fare danni a cose e persone. Per l’esattezza si trova nel cuore del Gyre del Pacifico meridionale il cui punto al centro è noto come Point Nemo.

Il motivo per cui questo luogo è considerato quasi privo di vita biologica dipende da diversi fattori. Uno è l’enorme distanza con qualsiasi pezzo di terra, questo indica l’assenza di molte sostanze nutritive, un altro dipende dalle correnti vorticose che isolano tale luogo dal resto dell’oceano e infine gli alti livelli di raggi UV che assorbe l’acqua, un altro fattore però è il fatto che risulta difficile studiare tale zona.

 

Deserto oceanico e la vita marina

Studiare il deserto è una sfida, ma alcuni ricercatori che fanno parte di un team internazionale ci sono riusciti. Con una spedizione della durata di sei settimana a bordo di una nave da ricerca tedesca, tale gruppo è riuscito a campionare le popolazioni microbiche delle acque remote. Il campionamento non è stato fatto solo in superficie, ma grazie a tecniche particolari sono riusciti anche ad campionare l’acqua fino a 5000 metri di profondità.

Ci vive qualcuno in queste acque? Si, più che altro microbi. Per noi questo può voler dire poco e niente, ma per gli scienziati è una scoperta importante. Ecco una dichiarazione di Greta Reintjes: “Questo indica un interessante potenziale adattamento alle acque ultraoligotrofiche, cioè a bassa produttività biologica, e all’elevata irradiazione solare. È sicuramente qualcosa su cui indagheremo ulteriormente.

Facebook inizia la guerra contro le pagine dedicate ai rimedi naturali

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Il famoso rimedio della nonna non è certo da demonizzare, per lo meno se riguarda qualche malanno stagionale lieve. Detto questo però ci sono individui che vedono nella medicina tradizionale il male, per un motivo o per un altro; per quest’ultimi esiste una cura naturale per qualsiasi malattia, anche cancro e tumori. Finché qualcuno gioca solamente con la propria salute non c’è niente di cui discutere, il problema è che certi individui cercando anche di convincere altri individui e Facebook lo sa.

Internet ha favorito di grand lunga questo genere di persone, il loro pensiero mal visto dai più ha trovati nei social un modo per trovare altri con lo stesso pensiero. In men che non si dica si sono creati siti, blog e quant’altro pronti a diffondere il verbo dei rimedi naturali. Ovviamente anche su Facebook sono nate pagine del genere, ma la piattaforma sembrerebbe aver iniziato proprio una guerra con questi gruppi.

 

Facebook e la lotta ai rimedi naturali

Il Social Network tramite il proprio portavoce ha annunciato che stanno prendendo dei provvedimenti per limitare la portata di affermazioni false e pericolose; un esempio può essere quei gruppi che prevedono i gargarismi con la candeggina per curare i figli affetti da autismo. Questo azione andrà di pari passo con quelle intraprese da Google sempre atte a limitare la portata di tali affermazioni.

Qualcuno potrebbe gridare alla censura e per questo motivo la scelta di Facebook non è radicale. I post contenenti, o provenienti, da certi gruppi e pagine continueranno a comparire sul feed di notizie, ma il bacino di utenti a cui arriveranno sarà molto minore.

Ecco una dichiarazione di Travis Yeh, product manager di Facebook: “Il contenuto di salute ingannevole è particolarmente negativo per la nostra comunità. Quindi, il mese scorso abbiamo effettuato due aggiornamenti di classifica per ridurre (1) post con affermazioni salutistiche esagerate o sensazionali e (2) post che tentavano di vendere prodotti o servizi basati su rivendicazioni relative alla salute.

Scoperto un asteroide pieno d’oro che potrebbe trasformarci tutti in milionari

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Un gruppo di scienziati ha scoperto che l’asteroide Psiche 16 ha un valore di 700 quintilioni di dollari (laddove un quintilione corrisponde a ben a mille quadriliardi), una cifra quindi totalmente inimmaginabile. Il tutto dopo aver rilevato che possiede una quantità di metalli pesanti tale da renderlo un appetitoso corpo roccioso spaziale.

Secondo il portale statunitense Oil Price, l’oggetto ospita oro, ferro e nichel ad un livello così impressionante che, se il bottino fosse distribuito tra tutti gli abitanti del mondo, ognuno potrebbe ricevere un trilione di dollari. In questo modo, l’asteroide Psiche 16 avrebbe la capacità di trasformare in milionarie e in una notte tutte le persone che si trovano sul pianeta Terra.

 

Potremo mai accaparrarci quella fortuna?

Se stai già immaginando di poter andare in vacanza verso la destinazione che vuoi, quando vuoi e per tutto il tempo che vuoi, smetti di farlo. Perché avere quella quantità di denaro nelle nostre tasche sembra assolutamente distante da qualsiasi possibilità.

Secondo il professore e presidente della Royal Astronomical Society del Regno Unito, John Zarnecki, in circa 25 anni, si potrebbe ottenere una “dimostrazione concettuale” di come estrarre metalli dagli asteroidi. Ha anche stimato che la produzione commerciale dell’oro esistente nello spazio potrebbe iniziare in mezzo secolo di più.

I ‘titani d’oro’ ora controllano centinaia delle proprietà più produttive del mondo, ma le 113.400 tonnellate d’oro che ogni anno portano sul mercato impallidiscono rispetto alle conquiste disponibili nello spazio“, ha detto il direttore esecutivo. di EuroSun Mining, Scott Moore.

Quest’ultimo ha anche assicurato che l’asteroide Psiche 16 sarebbe “la prima tappa in questa avventura“, dal momento che ci sarebbero molti più oggetti nello spazio in cui le risorse potrebbero essere estratte. La NASA inizierà un’esplorazione sul corpo roccioso dal 2022.

Scoperto un particolare lago di lava nei pressi dell’Antartide

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Quando si pensa all’Antartide di sicuro non vengono evocate immagini di vulcani o colate laviche eppure nei pressi di tale regione è stato trovato qualcosa di veramente particolare. Si tratta di una lago di lava, una struttura particolare e rarissima considerato quante di queste se ne conoscono. Questo è solo il lago numero otto ed è stato scoperto da alcuni scienziati provenienti dal Regno Unito e si trova all’interno del vulcano attivo Mount Michael che a sua volta si trova in cima ad un’isola.

L’isola si chiama Saunders e si trova nei margini più meridionali del Sud Atlantico. Si tratta di una zona remota e quindi non sorprende più di tanto il fatto che questo lago sia stato trovato soltanto ora nonostante il vulcano ha quasi 200 anni di attività documentata; l’isola presenta un’ambiente estremo e anche le indagini sul campo non sono per nulla semplici tanto che apparentemente finora nessuno aveva scalato la montagna finora.

 

L’Antartide e il lago di lava

Ecco una dichiarazione di Peter Fretwell, analista geospaziale della British Antarctic Survey: “L’isola è stata visitata in numerose occasioni, ma nessuno ha mai scalato la montagna. Se guardi le immagini puoi capire perché: la vetta è circondata da un enorme fungo di neve, una neve estremamente morbida con una consistenza simile a zucchero a velo, probabilmente causata dal continuo sfogo del vapore del vulcano.”

I laghi di lava si formano a seguito di eruzioni, ma risultano più longevi della normale pozze di lava. Un singolo evento può portare alla creazione di un lago con durata anche di cent’anni. I primi suggerimenti sull’esistenza di tale formazione risale agli anni ’90 quando un satellite aveva rivelato delle anomali termiche che però non corrispondevano ad uscite di lava dal cratere.

L’identificazione del lago di lava ha migliorato la nostra comprensione dell’attività vulcanica e l’azzardo su questa isola remota, e ci dice di più su queste rare caratteristiche. E infine, ci ha aiutato a sviluppare tecniche per monitorare i vulcani dallo spazio” la dichiarazione di Alex Burton-Johnson, geologo in forza al BAS.

L’Alaska verrà colpita da un’ondata termica da record

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Considerato la settimana che è appena passata, noi europei dovremmo conoscere bene cosa significa essere vittime di un’ondata di calore anomalo. Per quanto ci troviamo in Estate, le temperature registrate la settimana scorsa era fin troppo alte. Qualcosa del genere succederà anche in Alaska, lo stato degli USA confinante con il Canada a Nord-Ovest. Questa regione è particolarmente fredda e quasi sempre innevata, almeno la parte settentrionale, ma il caldo che gli si sta per scagliare addosso potrebbe stravolgere momentaneamente gli equilibri.

La cupola termica che coprirà l’Alaska da un momento all’altro farà impazzire i sensori posti per tutto il paese. Si calcola che ogni record di valori verrà superato, soprattutto per quanto riguarda i record di giorni vicini. Si prevede che la temperatura che verrà registrata sarà la più alta dall’estate del 1969; un evento particolare avvenne proprio tra il 4 e l’8 luglio. Ai tempi la temperatura era stata di 30 gradi celsius, ma a questo giro potrebbe raggiungere e superare i 32 gradi celsius.

 

L’Alaska e le temperature record

Negli ultimi mesi ci sono stati molti eventi simili, ma quest’ultimo sarà il più forte per ora. La media stagionale risulta più alta normale e dovunque stanno scoppiando incendi che finiscono solo per crescere al posto di estinguersi. Lo scioglimento del ghiaccio nella parte più settentrionale nello stato si sta sciogliendo e questo sta favorendo anche l’innalzamento della temperatura dell’acqua costiera; lo strato di ghiaccio favoriva la schermatura dei raggi di sole. Impossibile calcolare eventuali danni e quindi per conoscerli bisognerà aspettare il passaggio di tale cupola termica.

Caccia alle balene: riprende in Giappone dopo 31 anni di stop

Il Giappone sfida di nuovo la Commissione Internazionale per la Caccia alle Balene (IWC) tornando a praticare la caccia commerciale delle balene. Dopo aver continuato per anni ad ignorare la moratoria internazionale che proibisce la pesca delle balene, affermando si trattasse di catture per scopi scientifici, riapre quindi la pesca commerciale di questi cetacei. La riapertura è avvenuta con la partenza di cinque baleniere dal porto di Hokkaidō e altre navi da quello di Shimonoseki.

 

Caccia alle balene è si per il Giappone, ma con dei limiti

Ma lo stato dichiara di aver imposto dei limiti alla pesca di balene. Da qui a fine anno infatti non potranno essere pescate più di 228 esemplari, ripartiti tra 150 balenottere Bryde, 52 balenottere minori e 26 balene boreali.

Un funzionario del ministero giapponese dell’Agricoltura, delle Foreste e della Pesca, ha giustificato la decisione affermando:riteniamo che le balene siano risorse marine come i pesci e che possano essere utilizzate in conformità a criteri scientifici”. Il vice capo di gabinetto Yasutoshi Nishimura, ha assicurato che le catture saranno effettuate seguendo un metodo scientifico che sia in grado di limitare gli impatti sulle specie e sulle popolazioni di balene e che non sia dannoso per i cetacei.

La decisione di riprendere la caccia commerciale alle balene, ha seguito di qualche mese la decisione del Governo giapponese di lasciare la IWC, in questo modo eviterà la moratoria prevista dalla commissione, che vieta la caccia commerciale alle balene.

 

Saranno rispettate le promesse?

Durante una cerimonia per la partenza delle baleniere a Kushiro, il capo dell’agenzia, Shigeto Hase, ha dichiarato che “la ripresa della caccia commerciale alla balena avviene per ardente desiderio dei cacciatori di balene in tutto il paese” e secondo Hase l’intento principale è chela cultura e il modo di vivere siano trasmessi alla prossima generazione”.

Non ci resterà dunque che attendere e vedere se davvero il Giappone rispetterà i limiti autoimposti, e quale saranno gli effetti ambientali che la ripresa della caccia alle balene in modo commerciale, avrà sulle popolazioni di cetacei e se aumenterà il rischio per la sopravvivenza delle specie e delle popolazioni.

La città foresta: il progetto di Boeri per una città cinese

Entro il 2020 in Cina sarà edificata una città speciale, una città foresta che nascerà dal progetto dell’architetto italiano Stefano Boeri e dalla sua voglia di impegnarsi per le condizioni in cui si trova il nostro pianeta e che sono destinate a peggiorare, in gran parte per colpa nostra.

 

La necessità di proteggere il Pianeta 

Come ritiene la stessa Stefano Boeri Architetti, lo studio che ha promosso questa iniziativa, bisogna tener presente da un lato che entro il 2030 circa il 65% della popolazione mondiale vivrà nelle foreste, e dall’altro che ad oggi le città consumano il 75% delle risorse naturali ed emettono il 70% delle emissioni globali di CO2.

Boeri invita anche a considerare che gli alberi e le foreste, in grave pericolo in tutto il mondo, assorbono i pericolosi gas serra che stanno lentamente uccidendo il pianeta surriscaldandolo. Da questo pensiero nasce la sua idea e la sua volontà di creare dei boschi urbani. Delle città foresta che possano portare benefici alla città stessa, migliorando la salute e la vita dei suoi abitanti.

Con l’aumento di città foresta, si potrebbe iniziare a combattere il cambiamento climatico ed i suoi effetti dannosi per l’intero pianeta, puntando a delle città che, grazie ad alberi e piante, possano assorbire le loro stesse emissioni di CO2. In questo modo verrebbero a crearsi delle città con minor inquinamento, consumo energetico e con una temperatura più bassa.

Secondo la Stefano Boeri Architetti, un azione globale che punti alle foreste urbane, potrebbe aiutare a mantenere i limiti degli accordi della COP 21 di Parigi del 2015, ovvero impedire che la temperatura della Terra aumenti al di sopra dei 2° C.

L’intento dello studio di Boeri non è solo quello di costruire delle foreste urbane ex-novo, ma anche quello di spingere, in città già esistenti, verso la progettazione di facciate verdi, orti urbani, viali alberati, di trasformare i cortili vuoti in giardini, aumentare il numero di edifici verdi e boschi verticali ed aumentare anche il numero di foreste, boschi e parchi attorno alle città.

 

La città foresta di Liuzhou

Sulla base di queste idee, sorgerà quindi la prima città foresta, in uno dei paesi più inquinati attualmente, la Cina. Questa foresta urbana è stata commissionata dal Liuzhou Municipality Urban Planning e sarà in grado di assorbire circa 10.000 tonnellate di anidride carbonica e 57 tonnellate di polveri sottili, dandoci in cambio circa 900 tonnellate di ossigeno.

La città potrà ospitare circa 30.000 abitanti e vi si troveranno ovviamente case, ma anche uffici, due scuole, un ospedale ed alberghi, tutti interamente ricoperti di piante ed alberi. Questo bosco urbano sorgerà a Nord della città di Liuzhou, nella provincia dello Guangxi. L’area su cui sorgerà misura circa 175 ettari e si trova lungo il fiume Liujiang. Inoltre una linea ferroviaria collegherà la Liuzhou Forest City alla città di Liuzhou e saranno privilegiati i veicoli elettrici. La città foresta sarà anche autonoma dal punto di vista energetico grazie alla geotermia ed ai pannelli solari.

Questo magnifico bosco abitato ospiterò circa 1 milione di piante e 40.000 alberi, per un totale di 100 specie differenti. Alberi e piante che a loro volta ospiteranno uccelli, insetti ed altri piccoli ospiti che popolano i territori della zona e che troveranno nella nuova città, non una minaccia, ma un rifugio.

Encelado: La luna di Saturno potrebbe essere adatta a sostenere la vita

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Lo scienziato del NASA Goddard Space Flight Center, Marc Neveu, ha affermato che Encelado, la luna di Saturno, potrebbe ospitare la vita. Lo scorso mese, durante la conferenza scientifica di Astrobiology, ha sottolineato che la vita avrebbe già avuto il tempo di formarsi sul satellite da quando esso è nato. li scienziati hanno stimato infatti che l’oceano del satellite abbia almeno un miliardo di anni. Così ha affermato lo scienziato: “Nello scenario che meglio si adatta alle lune reali, l’oceano di Encelado ha circa un miliardo di anni. Questa è una buona notizia per la vita: avrebbe dovuto avere abbastanza tempo per sorgere e ci dovrebbe essere ancora un po ‘di energia per alimentarla“.

L’oceano su Encelado è stato scoperto dalla sonda Cassini. Gli scienziati sono rimasti sorpresi dalla scoperta date le piccole dimensioni del satellite. Il ricercatore Neveu e la co-autrice Alyssa Rhoden hanno stimato assieme l’età dell’oceano di Encelado attraverso una simulazione che ha replicato le condizioni atmosferiche della luna. Ma questa è solo una stima, per ottenere una data più precisa sono necessarie ulteriori simulazioni.

 

La prospettiva di vita su Encelado

La NASA è alla ricerca della vita sul satellite di Saturno dal 2017.  In quell’anno l’agenzia spaziale ha scoperto la presenza di idrogeno nella sua atmosfera. Linda Spilker, scienziata del progetto Cassini del Jet Propulsion Laboratory della NASA, nel 2017 ha affermato: “Potrebbe essere una fonte potenziale di energia. Ora sappiamo che Encelado ha quasi tutti gli ingredienti di cui avresti bisogno per la vita qui sulla Terra“.

Thomas Zurbuchen, amministratore associato della direzione della missione scientifica della NASA, ha aggiunto: “Questi risultati ci permettono di identificare un luogo con alcuni degli ingredienti necessari alla vita. Stiamo per scoprire se siamo relamente soli o no“. Successivamente nel 2018, nell’atmosfera di Encelado sono state scoperte alcune molecole organiche complesse. Gli scienziati le hanno poi definite “elementi costitutivi della vita“.

Il peso non è l’unico fattore a determinare l’incidenza di patologie cardiache

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L’aumento di peso, specialmente intorno alla parte centrale del corpo, è qualcosa che molti affrontano nonostante gli sforzi per perdere peso e mangiare più sano. Può essere frustrante, soprattutto perché è noto che il grasso della zona addominale è particolarmente dannoso per la nostra salute. Ora, un nuovo studio pubblicato sull’European Heart Journal, ha mostrato che il punto in cui il grasso si accumula può dare indizi sull’incidenza di malattie cardiovascolari.

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Lo studio, che ha seguito oltre 2.500 donne in postmenopausa per quasi 20 anni, ha dimostrato che né la percentuale di grasso corporeo né la massa grassa sarebbero collegati ad un aumento del rischio di malattie cardiache. Ciò che hanno trovato, tuttavia, era che le donne dello studio che avevano le percentuali più elevate di grasso intorno alla vita e meno grasso sulle gambe avevano un rischio tre volte maggiore di sviluppare malattie cardiovascolari rispetto alle donne che avevano più grasso alle gambe e meno intorno alla vita.

 

Non solo una questione di peso, il punto in cui si accumula il grasso può dirci molto

A queste particolarità è dovuto l’appellativo di “forma a pera” o “forma a mela” del corpo umano. Questo studio conferma l’idea che una forma a pera, quando si porta il peso su cosce e fianchi, sia più sana di una forma di mela, caratterizzata da un accumulo di peso nella zona della pancia. Infatti, i ricercatori hanno scoperto che le donne che avevano più massa grassa alle gambe avevano il 32% in meno di probabilità di contrarre malattie cardiovascolari rispetto a quelle con meno grasso accumulato.

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Cosa possiamo imparare da questo? Mentre uno dei migliori passi per proteggere la nostra salute cardiovascolare a lungo termine è mantenere il peso forma, questo studio dimostra che c’è di più. Proprio come abbiamo imparato che perdere peso è più complicato che perdere semplicemente calorie, stiamo imparando che prevenire le cardiopatie significa molto di più che mantenere un peso sano.

Le sigarette elettroniche possono causare seri danni alle cellule cerebrali

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Le sigarette elettroniche, che oggi sono molto di moda soprattutto tra gli adolescenti, possono danneggiare il cervello di chi le utilizza, suggerisce un nuovo studio. L’esposizione alla nicotina distrugge le cellule cerebrali, secondo una nuova ricerca dell’Università della California. Lo stesso vale per qualsiasi prodotto a base di nicotina, ma questo rilevamento è particolarmente preoccupante alla luce della crescente diffusione di questi dispositivi tra i giovani, perché il loro cervello è ancora in via di sviluppo e il danno causato dalle sigarette elettroniche potrebbe limitare la loro crescita cognitiva per tutta la vita.

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Gli autori dello studio avvertono che i giovani e le donne incinte dovrebbero essere particolarmente diffidenti nei confronti dello “svapo”, in quanto potrebbero subire danni cerebrali che si ripercuoteranno anche sui bambini in via di sviluppo. Le sigarette elettroniche possono anche essere meno cancerogene di quelle combustibili, secondo la ricerca, ma più gli scienziati le studiano, più diventa chiaro che “più sicuronon vuol diresicuro“.

 

Il serio impatto delle sigarette elettroniche sulle cellule cerebrali

L’uso di questi dispositivi sembra avere gli stessi effetti sul sistema cardiovascolare che causa il fumo da sigaretta. Ma non è solo la dipendenza il problema, ha spiegato il team di UC Riverside. La nicotina inizia a danneggiare le cellule in una fase molto più precoce: i composti liquidi che questi sfruttano sembrano “rompere” i centri di energia delle cellule staminali, che diventeranno neuroni. Per dimostrarlo, i ricercatori dell’UC Riverside hanno usato cellule staminali di topi e li hanno esposti a queste sostanze in laboratorio.

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Si sono concentrati sui mitocondri, le “centrali elettriche” delle nostre cellule. I mitocondri infatti hanno anche una seconda funzione: aiutano a riparare le cellule staminali e forniscono loro molti meccanismi diautoprotezione“, assicurando che esse diventino cellule sane e operative. Tra i loro meccanismi di difesa c’è un processo chiamato “iperfusione mitocondriale indotta da stress” (SIMH).

 

Queste sostanza causano uno stress cellulare che porta alla loro morte

Quando i mitocondri rilevano un sovraccarico da stress si collegano l’un l’altro, impedendo alle molecole estranee di entrare nelle cellule. La nicotina genera questo stress ossidativo, forzando il mitocondrio perchè assuma questa “modalità di sopravvivenza“. Ma concentrazioni particolarmente elevate di nicotina possono sopraffare la catena di difesa, aprendo i recettori per la sostanza chimica, che crea dipendenza.

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Se lo stress della nicotina diventa persistente, il processo di SIMH collassa, le cellule staminali neurali vengono danneggiate anche fino a morire prima che abbiano la possibilità di diventare cellule cerebrali a pieno titolo“, ha spiegato la dottoressa Atena Zahedi. Gli esseri umani continuano a coltivare nuove cellule cerebrali per tutta la vita, come hanno dimostrato ricerche recenti, quindi la morte delle cellule staminali è un fenomeno molto serio.

Apple copiata da Xiaomi: ecco che arrivano le Mimoji

Clone Memoji Apple

Il colosso della mela morsicata, Apple, risulta essere una delle case più copiate in assoluto. Sono davvero una miriade le aziende, famose e non, che nel corso degli anni hanno deciso di ispirarsi a Cupertino per la produzione dei loro prodotti. Il fenomeno non sembra arrestarsi. Nelle scorse ore l’ultimo caso.

Ebbene sì, nonostante molte volte sia criticata per le sue scelte fuori dal comune, Apple risulta essere di ispirazione per moltissime aziende. Xiaomi, ad esempio, è una delle case che spesso ha deciso di prendere spunto dai lavori dell’azienda americana. Ecco quale è stata la sua ultima trovata.

 

Apple: scopriamo il clone delle Memoji

Una delle introduzioni più importanti nella storia di iPhone è stato il Face ID. Questo ha permesso ad Apple di introdurre un sistema di sicurezza più sicuro e allo stesso tempo di introdurre Animoji e Memoji. Quest’ultima sembra essere una feature a cui molti hanno deciso di ispirarsi. Nonostante, però, siano state diverse le case a cimentarsi nell’impresa, nessuna è arrivata al punto di Xiaomi. Le sue nuove Mimoji risultano essere una copia perfetta del prodotto di Apple.

Eh già, basta dare un occhio veloce alle nuove emoji smart dell’azienda cinese per confonderle con delle vere e proprie Memoji della mela morsicata. Persino il nome si è ispirato a quello del colosso di Cupertino. Le differenze di personalizzazione risultano essere davvero minime. Purtroppo, Apple non potrà fare molto se non migliorare il suo prodotto. Con iOS 13 le Memoji si miglioreranno sensibilmente. Servirà ciò a distanziarle dal suo clone? Restate in attesa per ulteriori aggiornamenti a riguardo.

Fortnite: il robot è in fase di costruzione presso Impianto a Pressione

Fortnite robot costruzione

L’azienda del fenomeno videoludico degli ultimi tempi, Epic Games, ha confermato nuovamente l’arrivo un evento davvero spettacolare di Fortnite nei prossimi giorni. Questo coinvolgerà due nuovi personaggi. Vi abbiamo parlato dell’arrivo nella mappa di gioco di un mostro misterioso. Nelle scorse ore, pare sia comparsa la prima parte del robot che sarà destinato a fronteggiarlo.

Ebbene sì, sembra proprio che la teoria avanzata da molti utenti nei giorni scorsi si sia rivelata vera. Nessuno si aspettava che Epic Games agisse così in fretta. Nelle scorse ore è stata modificata nuovamente la location di Impianto a Pressione. Ora, infatti, vi troviamo il robot in costruzione.

 

Fortnite: il robot comparirà a stage all’interno della mappa

Attualmente sono presenti nella zona di Impianto a Pressione solamente i due piedi e una gamba del robot. Ciò fa capire che il gigantesco robot è ancora in costruzione. I dataminer hanno scoperto all’interno dei codici di gioco di Fortnite un insieme di pacchetti. Questi sono stati definiti stage. Pare, infatti, che il robot comparirà pezzo dopo pezzo nei prossimi giorni. La cosa interessante è che l’unica parte del corpo che non compare nei codici di gioco è la testa.

Molto probabilmente la casa di Fortnite deciderà di introdurre quest’ultima parte del corpo con il nuovo aggiornamento 9.40. I dubbi sono sempre meno, il nuovo robot avrà l’arduo compito di dover fronteggiare il misterioso mostro di Picco Polare. L’ipotesi più plausibile è che vedremo lo scontro in un evento live in game. Restate in attesa per ulteriori aggiornamenti a riguardo.

Apple: la beta 3 di iOS 13 nasconde un’interessante novità in arrivo

Apple collegamento cavo

Il colosso della mela morsicata, Apple, non smette mai di sorprendere i suoi fan. Proprio ieri vi abbiamo parlato del rilascio a sorpresa delle terza beta di iOS 13 in esclusiva per gli sviluppatori. Inizialmente sembrava che non ci fossero novità all’interno di questa, in realtà non è così. E’ in arrivo una funzione molto particolare.

Apple sa nascondere bene le novità all’interno dei suoi aggiornamenti software, tuttavia, a volte alcuni utenti riescono a scovarle. La nuova beta sembra confermare l’arrivo di una nuova forma di trasferimento dati tra dispositivi. A confermarlo, l’aggiunta di una icona stilizzata che mostra la nuova funzione. Andiamo a scoprire di cosa si tratta.

 

Apple: nuovo trasferimento dati con cavo tra iPhone

Fino ad ora, una delle falle di iPhone è stata la connettività. Apple sta cercando di migliorare questo aspetto il più possibile. E’ proprio a ragione di ciò che l’azienda potrebbe aver deciso di introdurre una nuova forma di comunicazione tra iPhone. Fino ad ora, infatti, quando si vuole trasferire i dati da un iPhone all’altro abbiamo due possibilità: utilizzare iCloud o effettuare un trasferimento tramite iTunes su PC. Nella beta 3 di iOS 3 è comparsa l’icona di una terza modalità, un collegamento via cavo diretto tra i due iPhone.

Al momento sappiamo poco in merito alla nuova funzione in arrivo. Infatti, ad oggi la feature rimane bloccata. Molto probabilmente Cupertino lancerà in autunno un nuovo cavo specifico lightning-lighting specifico per questa nuova modalità. Restate in attesa per ulteriori aggiornamenti a riguardo.

Individuato un nuovo segnale FRB proveniente dallo spazio profondo

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La scorsa settimana i ricercatori della NASA hanno individuato per la prima volta la posizione di un segnale proveniente dallo spazio. Martedì scorso, un team dell’Owens Valley Radio Observatory (OVRO) di CalTech, è riuscito a localizzare un nuovo segnale soprannominato FRB 190523. La sua origine coincide con quella di una galassia posta a circa 8 miliardi di anni luce di distanza.

Tuttavia, anche se gli scienziati sono in gradi di localizzare la posizione da cui provengono i segnali, le loro fonti rimangono un mistero. Ancora non è chiaro cosa provochi questi segnali. Le ipotesi degli scienziati variano dalle esplosioni di stelle di neutroni all’intelligenza artificiale.

 

I segnali FRB

Nonostante la recezione dei segnali FRB sia abbastanza rara, nell’ultima settimana sono stati registrati altri due segnali. Il primo è stato individuato da un team australiano grazie allo Square Kilometer Array Pathfinder. Il secondo, ed ultimo dei tre, è stato riportato da un osservatorio russo.

È straordinario come in una sola settimana gli scienziati siano riusciti a registrare tre segnali differenti. Tuttavia i ricercatori non sono ancora riusciti a comprendere la natura degli FRB dato che essi provengono da tipologia differenti di galassia. Il team CalTech ha rintracciato il segnale FRB 190523 in una galassia simile alla nostra Via Lattea. Ma il primo di questi segnali, il famoso FRB 121102, aveva origine in una galassia nana completamente differente da quest’ultima. Vikram Ravi di CalTech ha affermato: “Questa scoperta ci dice che ogni galassia, anche una galassia come la nostra Via Lattea, può generare un FRB“. 

Ravi ha poi aggiunto: “Gli astronomi hanno inseguito gli FRB da un decennio a questa parte e noi ora abbiamo la possibilità di capire che cosa potrebbero essere questi oggetti esotici“. Il team infatti, utilizzera per le ricerche future dei radioscopi simili al Deep Synoptic Array, disponibile nel 2021, che consentirà loro di catturare e rintracciare altri segnali come questi.

I ricercatori identificano le origini del nostro metabolismo

metabolismo

Uno studio guidato da Rutgers fa luce su uno dei misteri della scienza più duraturi: come ha fatto il metabolismo,il processo attraverso il quale la vita si alimenta convertendo energia dal cibo in movimento e crescita?

Per rispondere a questa domanda, i ricercatori hanno invertito la progettazione di una proteina primordiale e l’hanno inserita in un batterio vivente, dove ha alimentato con successo il metabolismo, la crescita e la riproduzione della cellula, secondo lo studio in Proceedings of the National Academy of Sciences.

 

Le origini del metabolismo

“Siamo più vicini alla comprensione del funzionamento interno della cellula antica che era l’antenato di tutta la vita sulla terra – e, quindi, alla comprensione di come la vita è nata in primo luogo, e dei percorsi che la vita avrebbe potuto prendere su altri mondi”, ha detto l’autore principale Andrew Mutter, un associato post-dottorato presso il Dipartimento di Scienze marine e costiere della Rutgers University.

La scoperta ha anche implicazioni per il campo della biologia sintetica, che sfrutta il metabolismo dei microbi per produrre sostanze chimiche industriali; e bioelettronica, che cerca di applicare i circuiti naturali delle cellule per l’accumulo di energia e altre funzioni.

I ricercatori hanno esaminato una classe di proteine ​​chiamate ferredoxine, che supportano il metabolismo in batteri, piante e animali spostando l’elettricità attraverso le cellule. Queste proteine ​​hanno forme diverse e complesse negli esseri viventi di oggi, ma i ricercatori ipotizzano che siano tutte nate da una proteina molto più semplice che era presente nell’antenato di tutta la vita.

Analogamente al modo in cui i biologi mettono a confronto i moderni uccelli e rettili per trarre conclusioni sul loro antenato condiviso, i ricercatori hanno confrontato le molecole di ferredoxina presenti negli esseri viventi e, utilizzando modelli computerizzati, hanno progettato forme ancestrali che potrebbero essere esistite in una fase precedente dell’evoluzione di vita.

Quella ricerca ha portato alla creazione di una versione base della proteina, una semplice ferredossina in grado di condurre l’elettricità all’interno di una cellula e che, nel corso di eoni di evoluzione, avrebbe potuto dare origine a molti tipi oggi esistenti.

Quindi, per dimostrare che il loro modello dell’antica proteina poteva effettivamente supportare la vita, la inserirono in una cellula vivente. Hanno preso il genoma dei batteri di E. coli, rimosso il gene che usa per creare ferredoxin in natura e impiantato in un gene per la loro proteina modificata. La colonia di E. coli modificata sopravvisse e crebbe anche se più lentamente del normale.

Il coautore dello studio Vikas Nanda, professore alla Rutgers Robert Wood Johnson Medical School e al Center for Advanced Biotechnology and Medicine, ha detto che le implicazioni della scoperta per la biologia sintetica e la bioelettronica derivano dal ruolo delle ferredine nel circuito della vita.

“Queste proteine ​​convogliano l’elettricità come parte del circuito interno di una cellula.Le ferredoxine che appaiono nella vita moderna sono complesse, ma abbiamo creato una versione ridotta che supporta ancora la vita.I futuri esperimenti potrebbero costruire su questa versione semplice per possibili applicazioni industriali “, Ha detto Nanda.

 

 

La spazzatura sta aumentando a livello globale: un rischio per l’uomo

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La spazzatura a livello globale sta diventando un problema assai grave. Cumuli di rifiuti si stanno accumulando in tutto il mondo mentre il riciclaggio è una pratica che viene usata fin troppo poco. Uno studio ha evidenziato come stiamo vivendo un trend negativo, un boom di accumulo che sta venendo guidato dagli Stati Uniti. Apparentemente i rifiuti solidi, plastici, alimentari, ma anche quelli pericolosi di 194 paesi ammontano a 2,1 miliardi di tonnellate all’anno; per fare una comparazione stupida, ogni anno con tali scarti si possono riempire 820.000 piscine olimpioniche.

Come detto il riciclaggio non viene sfruttato come si dovrebbe tanto che solo il 16%, 323 milioni di tonnellate, passa attraverso tale pratica. Il paese in un certo senso più virtuoso, anche se dipende anche dalle condizioni di vita, è l’Etiopia la quale produce sette volte in meno il quantitativo degli Stati Uniti il quale è il 12% del totale annuale, 239 milioni di tonnellate; si tratta di 773 chilogrammi pro capite.

 

Aumento della spazzatura e i rischi per l’uomo

Il problema degli Stati Uniti, oltre alla sola produzione in grandi quantità di spazzatura, è l’incapacità di riciclare. Se prendiamo per esempio la Germania, quest’ultima ricicla il 68% dei rifiuti mentre gli USA soltanto il 35%. Nel prossimi anni la situazione peggiorerà e dovremo fare i conti con un mondo non solo più caldo, ma anche più piccolo per via delle montagne di rifiuti che si creeranno. La salute dell’uomo ovviamente sarà in pericolo come lo è già per le specie animali, soprattutto quelle marine a causa di tutta la plastica che è finita nei mari e negli oceani.

Oumuamua: il mistero non è ancora stato risolto dagli astronomi

Oumuamua

Lo strano oggetto spaziale a forma di sigaro, chiamato “Oumuamua”, che volò attraverso il nostro sistema solare un paio di anni fa, non era una nave spaziale aliena, hanno annunciato gli scienziati questo lunedì alla luce degli ultimi rilevamenti. “L’ipotesi dell’astronave aliena è stata divertente, ma la nostra analisi suggerisce che c’è tutta una serie di fenomeni naturali che potrebbero spiegare il fenomeno“, ha detto Matthew Knight, autore principale dello studio presso l’Università del Maryland, in un comunicato stampa.

Oumuamua

Il corpo celeste, di nome Oumuamua (parola in lingua hawaiana per “scout” o “messaggero“), era stato oggetto di un acceso dibattito soprattutto tra astronomi e ufologi di tutto il mondo: gli astronomi inizialmente lo classificarono come una cometa, poi un asteroide e poi tornarono sull’ipotesi della cometa, anche se anche questa categorizzazione non inquadra in tutto e per tutto l’oggetto. Molti teorici del complotto, peraltro, paventavano l’ipotesi che si trattasse di un’enorme astronave appartenente ad una civiltà aliena.

 

Oumuamua e le infinite teorie che lo hanno interessato fino ad oggi

Mentre l’origine interstellare di Oumuamua lo rende unico, molte delle sue altre caratteristiche sono perfettamente coerenti con altri oggetti celesti già conosciuti del nostro sistema solare“, ha detto il coautore dello studio Robert Jedicke, dell’Università delle Hawaii. Infatti, l’orbita di Oumuamua, il suo percorso attraverso il nostro sistema solare, corrisponde ad una ricerca pubblicata su una rivista scientifica da Jedicke e dai suoi colleghi sei mesi prima della scoperta di Oumuamua.

Oumuamua

La roccia, lunga circa 40 chilometri, è stata avvistata per la prima volta nell’ottobre 2017 da astronomi al lavoro presso il telescopio del monte Haleakala a Maui, nelle Hawaii. Nelle settimane successive, i telescopi di tutto il mondo continuarono a monitorare Oumuamua mentre sfrecciava attraverso il sistema solare a ben 136.000 chilometri orari! “Anche se sappiamo che è un fenomeno naturale, non abbiamo mai visto nulla di simile a Oumuamua nel nostro sistema solare“, ha detto Knight.

Le piante sono coscienti: gli scienziati cercano di sfatare tale mito

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Verso la metà del primo decennio alcuni scienziati hanno proposto l’idea che gli esseri vegetali avessero una sorta di coscienza. Anche senza il cervello, organo troppo costoso per questi esseri “viventi”, erano in grado di percepire i segnali dall’esterno. Lo studio del 2006 ha anche cercato di convincere tutti che le piante possono pensare, apprendere e scegliere intenzionalmente le loro azioni. Ovviamente questi aspetti implicano qualcosa in più di un movimento riflesso come la chiusura delle foglie quando vengono toccate.

Per cercare di sfatare tale mito dei ricercatori hanno intrapreso un nuovo studio. Ecco la dichiarazione di Lincoln Taiz, professore di biologia molecolare all’Università della California: “Il più grande pericolo nell’antropomorfizzare le piante nella ricerca è che mina l’obiettività del ricercatore. Quello che abbiamo visto è che le piante e gli animali hanno sviluppato strategie di vita molto diverse: il cervello è un organo molto costoso, e non c’è assolutamente alcun vantaggio per la pianta di avere un sistema nervoso altamente sviluppato.

 

Le piante e la loro non coscienza

Le piante usano un sistema fatto di segnali elettrici che funziona in due modi. Uno prevede la distribuzione delle molecole cariche attraverso le membrane mentre il secondo prevede la comunicazione con cellule distanti nell’organismo. Il discorso della foglia che si chiude è spiegabile come un squilibrio della fisiologia delle cellule dovuta alla fuoriuscita di liquido e quindi rientra nel primo modo appena spiegato.

Su questo azione automatica sono stati fatti degli esperimenti. Facendo cadere una pianta più volte si è visto che con l’andare avanti dell’azione le foglie smettevano di chiudersi questo perché non c’era motivo di farlo in quanto non venivano danneggiate. Se venivano successivamente scosse però si chiudevano e questo sottolineava come non c’era niente di rotto, ma semplicemente la pianta si era abituata a cadere capendo che non subiva danni.

Un’altra dichiarazione di Taiz: “Lo scuotimento era in realtà piuttosto violento, perché lo stimolo tremolante era più forte dello stimolo in caduta libera, ma non esclude definitivamente l’adattamento sensoriale, che non implica l’apprendimento. Esperimenti correlati con i piselli che dimostrano di mostrare il condizionamento classico di Pavlov sono anche problematici a causa della mancanza di controlli sufficienti”. In sostanza, le piante non pensano, ma si adattano in modo automatico.

Alcol, gli effetti del bere di seconda mano feriscono 53 milioni di americani

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Un quinto degli adulti,o una stima di 53 milioni di persone negli Stati Uniti, soffre di alcol ogni anno, rendendo questo “un importante problema di salute pubblica”, secondo un nuovo studio pubblicato nel Journal of Studies on Alcohol and Drugs.

Una cosa da considerare con il numero 1 su 5 è che è limitata a un’istantanea nel tempo di circa un anno. Quindi, probabilmente più persone sono state danneggiate da qualcun altro che beve in altri momenti della loro vita “, dice all’autore dello studio Katherine Karriker-Jaffe, scienziato senior presso l’Alcohol Research Group del Public Health Institute di Emeryville, in California.

 

Il problema dell’alcol

I ricercatori hanno analizzato le risposte di 8.750 adulti intervistati nel 2015 per la National Harmal’s Harm to Other Survey e la National Alcohol Survey. Ai soggetti è stato chiesto se hanno subito uno dei 10 tipi di danni,causati da qualcuno che aveva bevuto alcolici,in un periodo di 12 mesi. I danni inclusi tutto da incidenti stradali, abuso fisico, problemi coniugali, danni alla proprietà e problemi finanziari.

L’attuale ricerca, finanziata dall’Istituto nazionale per l’abuso di alcol e l’alcolismo, ha analizzato i dati per fornire informazioni sulle politiche di controllo dell’alcol, come la tassazione e i prezzi per ridurre i danni dell’alcol a persone diverse dal bevitore. I ricercatori hanno affermato che il 21% delle donne e il 23% degli uomini hanno avuto almeno un impatto negativo. Il tipo più comune di danno segnalato era rappresentato da minacce o molestie.

Per le donne, i più diffusi [tipi di danno, dopo le molestie] sono problemi familiari e coniugali o problemi finanziari dovuti al bere di qualcun altro e un terzo finale vicino potrebbero essere danni legati alla guida – quindi guidare con un guidatore ubriaco o effettivamente avere un incidente causato da qualcuno che aveva bevuto “, dice Karriker-Jaffe.

“Per gli uomini, [dopo le molestie,] i danni legati alla guida erano i più comuni, seguiti da danni alla proprietà e atti di vandalismo”. Gli adulti di età inferiore ai 25 anni erano più a rischio di sperimentare una gamma più ampia di problemi dal bere di altre persone. Lo studio ha anche rilevato che le donne avevano maggiori probabilità di riportare danni causati da un coniuge o un familiare che stava colpendo la salsa. Gli uomini erano più propensi a segnalare problemi causati da uno sconosciuto.

Il lungo viaggio della volpe artica: dalla Norvegia al Canada

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Il tracking degli animali è una pratica comune soprattutto verso quelle specie che vivono in habitat particolari come il circolo polare artico. Proprio in questa zona dei ricercatori avevano applicato tale tecnologia ad un esemplare di volpe artica. Il risultato ha sorpreso tutti visto che in neanche tre mesi l’animale ha percorso 4.350 chilometri; la media al giorno erano di quasi 50 chilometri, ma per compensare alcuni giorni di magra in altri è arrivata a farne addirittura 160.

All’inizio i ricercatori hanno pensato ad un errore dei dati, ma col passare dei giorni hanno concordato che era giusti. La volpe ha semplicemente intrapreso un viaggio lunghissimo, dalla Norvegia al Canada, che di per sé non è strano, ma averlo fatto in meno di 90 giorni lo è. Purtroppo in un’isola canadese della regione del Nunavat il segnale ha smesso di venir trasmesso.

 

La volpe artica e il lungo viaggio

Le volpi di questa zona vengono tutte chiamate volpi artiche, ma in realtà ci sono gruppi diversi ben distinguibili; l’esemplare tracciato era una volpe blu. L’esame del DNA di queste specie ha sempre evidenziato come ci siano stati diversi incroci tra le varie popolazioni, questo a sottolineare come un viaggio del genere non è strano.

Tornando a questo particolare esemplare, la velocità ha fatto impazzire gli scienziati visto che un altro esemplare tracciato ci aveva messo quasi sei mesi, il doppio del tempo. L’ipotesi era che qualcuno gli avesse dato un passaggio su un barca, ma l’esame delle traccie sul ghiaccio ha evidenziato che invece si è fatta tutta la distanza a piedi. Un viaggio straordinario che però potrebbe essere stato intrapreso per mancanza di cibo.

La dieta Bonobo di verdure acquatiche può contenere indizi sull’evoluzione umana

Le osservazioni della dieta bonobo nel bacino del Congo che si nutrono nelle paludi per le erbe acquatiche ricche di iodio, un nutriente critico per lo sviluppo del cervello e le più alte capacità cognitive, possono spiegare come sono state soddisfatte le esigenze nutrizionali degli esseri umani preistorici nella regione. Questo è il primo rapporto sul consumo di iodio da parte di un primate non umano e viene pubblicato nella rivista open access BMC Zoology.

 

Indizi sull’evoluzione umana nella dieta bonobo

Il Dr. Gottfried Hohmann, del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, l’autore principale dello studio ha detto: “I nostri risultati hanno implicazioni per la nostra comprensione dell’immigrazione delle popolazioni umane preistoriche nel bacino del Congo. Si può prevedere che i bonobo come specie hanno requisiti di iodio simili agli umani, quindi il nostro studio offre, per la prima volta, una possibile risposta su come i migranti umani pre-industriali possano essere sopravvissuti nel bacino del Congo senza un’integrazione artificiale di iodio”.

I ricercatori hanno effettuato osservazioni comportamentali di due comunità di bonobo nella foresta di LuiKotale nel Parco Nazionale Salonga, nella Repubblica Democratica del Congo. Queste osservazioni sono state combinate con i dati sul contenuto di iodio delle piante mangiate dai bonobo da uno studio in corso dell’Istituto Leibniz per lo zoo e la ricerca sulla fauna selvatica, a Berlino. Hanno scoperto che le erbe acquatiche consumate dai bonobo sono una fonte naturale sorprendentemente ricca di iodio nel bacino del Congo, una regione che in precedenza si pensava fosse scarsa nelle fonti di iodio.

Un dipinto medievale ritorna alla luce dopo 900 anni in una chiesa romana

Dopo una lunga indagine, scaturita da uno scritto del 1965, è finalmente stato riportato alla luce un dipinto medievale nella chiesa di Sant’Alessio all’Aventino a Roma. Il dipinto rappresenta con buona probabilità Sant’Alessio ed il Cristo Pellegrino.

 

Il ritrovamento del dipinto medievale

Il dipinto è stato ritrovato in ottimo stato di conservazione in un intercapedine della chiesa, grazie alla storica dell’arte e ricercatrice, nonché consulente culturale di sindaci e ministri, Claudia Viggiani. La stessa Viggiani ha definito il ritrovamento dell’affresco, rimasto nascosto per quasi 900 anni, come “assolutamente eccezionale, anche per l’iconografia rarissima dei due personaggi che si riconoscono nella parte del dipinto al momento visibile”.

Le ricerche sono partite grazie ad una ricerca d’archivio durante la quale è capitata tra le mani della Viggiani, una lettera dell’Ufficio Speciale del Genio Civile per le Opere Edilizie di Roma, indirizzata alla Soprintendenza ai Monumenti per il Lazio. Nella lettera è citato un affresco in ottimo stato di conservazione, rinvenuto durante i lavori per il consolidamento di un campanile. Nella lettera non è però citata la chiesa in cui si sarebbe trovato questo dipinto e la sua ricerca ha richiesto un notevole impegno da parte della Viggiani.

 

Il restauro e la volontà di portarlo completamente alla luce

A mettere in sicurezza il dipinto è stata la restauratrice Susanna Sarmati, con la direzione dei lavori di Mariella Nuzzo e Carlo Festa, sotto la soprintendenza di Francesco Prospetti. Il prezioso affresco si trova nell’intercapedine della chiesa di Sant’Alessio a cui si accede da una piccola porticina sul retro. Una volta varcata ci si trova davanti agli straordinari colori dell’affresco, il nero dello sfondo, il rosso dei mantelli e l’oro delle aureole. Il dipinto è incorniciato da un motivo policromo di rara bellezza, molto ben rifinito per l’epoca a cui risale.

Come ha affermato la stessa Sarmati, è difficile trovare opere medievali “così complete ed integre”, in cui è possibile distinguere ancora le pennellate originali. Il dipinto è ancora per metà coperto dal muro che crea l’intercapedine, e l’intento della Viggiani è quello di riuscire a portarlo completamente alla luce. La porzione che è ora visibile misura circa 4 m di altezza e 0,9 m di larghezza.

In origine, nella chiesa medievale, il dipinto si trovava sulla parete della controfacciata e chi ristrutturò la chiesa coprendolo, fece comunque attenzione a proteggerlo, e probabilmente lo lasciò alla vista dei fedeli tramite una piccola feritoia sul muro.

Scoperto un ciclo di attività che sembrerebbe regolare le tempeste solari

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Grazie ad un progetto dell’Università di Reading, alcuni scienziati volontari hanno trovato una correlazione tra le tempeste solari e il ciclo di attività della stella. Lo studio si è svolto osservando oltre mille immagini di espulsioni di massa coronale o Coronal Mass Ejections (CME). Gli scienziati hanno notato che le espulsioni che risalivano alla fine del ciclo di attività solare di 11 anni erano più complesse

Gli scienziati partecipanti al progetto hanno classificato 1100 immagini. Queste sono state tutte raccolte dagli imager eliosferici grandangolari a bordo della navicella spaziale Stereo della NASA. I risultati del prgetto, presentati Martedì 2 Luglio presso il RAS National Astronomy Meeting a Lancaster, potranno aiutare a prevedere importanti eventi meteorologici spaziali. Inoltre conoscere il periodo di maggiore potenza delle tempeste solari contribuirà a proteggere le moderne tecnologie dalle conseguenze di questi fenomeni.

 

Le dichiarazioni degli scienziati

Shannon Jones dell’Università di Reading ha affermato: “La sonda STEREO cattura le immagini delle tempeste solari mentre esplodono dal Sole. Alcune CME sembrano molto semplici, come le bolle, mentre altre sono molto più complesse, come lampadine frantumate. Sorprendentemente, abbiamo scoperto che i valori della complessità media annuale seguono effettivamente la ciclo di attività solare“. Mentre Chris Scott, ideatore dello studio, ha aggiunto: “Le tempeste più dannose hanno un campo magnetico che è sfalsato di 180 gradi rispetto alla Terra, perché nelle tempeste esso continua a cambiare direzione. La correlazione tra la complessità e il ciclo solare è importante. La loro variabilità le rende meno capaci di contenere un orientamento del campo magnetico che può influenzare le nostre moderne tecnologie“.

Attualmente i volontari dello studio stanno iniziando una nuova fase di esperimenti. In questa fase gli scienziati valuteranno l’impatto della luminosità delle tempeste sulla loro complessita e il modo in cui misurarla. Per fare ciò studieranno le differenze nelle telecamere STEREO A e B.