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Il nuovo aeroporto saudita sembrerà uno scintillante miraggio nel deserto

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Il progetto per un nuovo lussuoso aeroporto, dalle forme che ricordano uno scintillante miraggio nel deserto, è stato svelato come parte del piano multimiliardario dell’Arabia Saudita per imporsi come una delle principali mete turistiche internazionali. L’aeroporto servirà il nuovo resort super lusso AMAALA nella zona mediorientale del paese, un vasto complesso turistico pensato per garantire non solo il benessere dei propri facoltosi clienti, ma anche la sostenibilità ambientale, dal momento che esso coprirà ben tre siti lungo la costa del Mar Rosso.

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Il termine dei lavori è previsto per il 2028, ma il nuovo aeroporto dovrebbe essere operativo già entro il 2023, contemporaneamente all’apertura delle prime strutture del resort. Il terminal è progettato per ospitare un milione di visitatori all’anno. Si prevede che la nuova struttura gestirà quasi esclusivamente viaggiatori particolarmente facoltosi ed è pensata come una “spudoratadichiarazione di opulenza. All’interno ci sarà un ampio cortile e una serie di altre strutture che garantiranno un altissimo livello di confort.

 

L’aeroporto, oltre a distinguersi per il ricercatissimo design, ospiterà un lussuoso resort pensato per i viaggiatori più facoltosi

Dato l’alto profilo degli ospiti di AMAALA, con un patrimonio netto comunque molto elevato, la nostra strategia di mobilità dimostra che oltre l’80% degli ospiti arriverà in aereo“, dice il direttore dello sviluppo di AMAALA, Carlos Wakim. Lo studio di architettura e design Foster + Partners, con sede nel Regno Unito, è la mente dietro il sorprendente e ricercatissimo design della struttura, ispirato all’illusione ottica di un miraggio nel deserto. Il team descrive l’aeroporto più vicino ad “un’esperienza da club privato esclusivo”, piuttosto che ad un semplice “centro di smistamento dei viaggiatori”.

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Wakim descrive il terminal come un luogo “dove le persone possono incontrarsi, dove affari e tempo libero si combinano in un ambiente trafficato come un aeroporto, ma in un contesto ultra-lussuoso“. Offrirà anche hangar pensati per jet privati, nonchè spazi riservati agli aerei commerciali. Wakim ritiene inoltre che il terminal sarà attrezzato per garantire le misure di distanziamento sociale, qualora ciò divenga necessario, sottolineando che “le lobby e le lounge garantiscono privacy e mantengono invariato il flusso di traffico dei passeggeri, senza interruzioni“.

Le cecilie potrebbero essere velenose, secondo uno studio

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Gli scienziati hanno scoperto ghiandole dentali simili a quelle dei serpenti nelle cecilie, anfibi serpentiformi dall’aspetto molto simile ai lombrichi, il che significa che queste creature potrebbero effettivamente essere velenose, un tratto inedito tra gli anfibi. Le cecilie infatti secernono una sostanza dalla loro pelle che li rende molto viscidi e secernono una sostanza tossica dalle loro estremità posteriori per scoraggiare i predatori. Anche il loro morso, quindi, potrebbe essere velenoso.

 

Le cecilie sono animali estremamente affascinanti, seppur molto bizzarri

Pensiamo ad anfibi come rane e rospi come animali fondamentalmente innocui“, ha dichiarato Edmund Brodie Jr., biologo della Utah State University. “Sappiamo che un certo numero di anfibi è in grado di immagazzinare nella propria pelle sostanze velenose e di produrre secrezioni per scoraggiare i predatori. Per essere chiari, gli scienziati non hanno ancora dimostrato che la sostanza prodotta dalle ghiandole dentali della cecilia sia velenosa, ma i risultati preliminari suggeriscono tale possibilità. Se fosse vero, ciò rappresenterebbe un tratto evolutivo di organi velenosi nel cavo orale“, ha detto Brodie.

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Le cecilie sono molto simili ai serpenti e sono imparentati con le salamandre, ma le due specie sono separate da un’evoluzione di 250 milioni di anni. Le specie di Cecilia possono essere sia acquatiche che terrestri, preferendo i climi tropicali in Africa, Asia e delle Americhe. Questi animali rappresentano un gruppo ancora molto misterioso e poco studiato di vertebrati, ma gli scienziati stanno imparando sempre di più su di essi. Nel 2018, ad esempio, lo stesso team ha scoperto che il Siphonops annulatus, una specie terrestre di cecilia, che può secernere un lubrificante simile a muco dalle ghiandole della pelle, permettendogli di nascondersi rapidamente sottoterra per eludere i predatori.

 

Non è certo che questi animali siano velenosi, ma alcune ghiandole scoperte dagli scienziati potrebbero essere un tratto rilevante

Durante la loro ultima indagine sul S. annulatus, i ricercatori avevano scoperto una particolare ghiandola nella loro mascella superiore e inferiore e “lunghi condotti che si aprono alla base di ciascuno dei loro denti“, ha spiegato Brodie. Ulteriori ricerche hanno identificato queste caratteristiche come “ghiandole dentali“, distinguendole dalle ghiandole velenose trovate sulla loro pelle. Brodie e i suoi colleghi credono che queste ghiandole dentali entrino in azione quanto le cecilie ingaggiano le loro prede, come vermi, termiti, rane e lucertole.

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Per quanto riguarda la sostanza apparentemente velenosa, un’analisi chimica ha dimostrato che si tratta di una miscela di muco, lipidi e proteine ​​con proprietà comunemente presenti negli animali velenosi. “Sebbene abbiamo dimostrato la presenza di ghiandole dentali e il loro possibile ruolo durante la predazione, sono ancora necessarie ulteriori prove per determinare la natura delle proteine ​​presenti nella secrezione, nonchè i dati sul potenziale tossico di questi composti“, secondo i ricercatori. È ovviamente necessario ulteriore lavoro, ma questo è un risultato molto incoraggiante.

Covid-19, i raggi del sole possono distruggere il virus

Covid sole

La radiazione UV-C, quella tipicamente prodotta da lampade a basso costo al mercurio ha un’ottima efficacia nel neutralizzare il coronavirus SARS-COV-2. Lo conferma uno studio sperimentale multidisciplinare effettuato da un gruppo di ricercatori, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, dell’Università Statale di Milano, dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano  e dell’IRCCS Fondazione Don Gnocchi.

Gli studi effettuati sono di grande rilievo nell’ambito del contrasto alla pandemia da COVID-19 e dimostrano come l’approccio multidisciplinare condotto da ricercatori di Istituti diversi possa portare a eccellenti risultati”, spiega Mario Clerici, docente di Patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore scientifico dell’IRCCS.

 

La dose giusta di raggi ultravioletti che inattiva il covid

È noto il potere germicida della luce UV-C su batteri e virus, una proprietà dovuta alla sua capacità di rompere i legami molecolari di DNA e RNA che costituiscono questi microorganismi. Diversi sistemi basati su luce UV-C sono già utilizzati per la disinfezione di ambienti e superfici in ospedali e luoghi pubblici.

Tuttavia, per quanto spesso questa tecnologia venga richiamata pubblicamente a livello internazionale anche per la lotta alla diffusione della pandemia da COVID-19, una misura diretta della dose di raggi UV necessaria per rendere innocuo il virus non era stata ancora effettuata.

“Abbiamo illuminato con luce UV soluzioni a diverse concentrazioni di virus e abbiamo trovato che è sufficiente una dose molto piccola, per inattivare e inibire la riproduzione del virus, indipendentemente dalla sua concentrazione”, spiega Mara Biasin, docente di Biologia Applicata dell’Università Statale di Milano.

“Con dosi così piccole è possibile attuare un’efficace strategia di disinfezione contro il coronavirus. Questo dato sarà utile a imprenditori e operatori pubblici per sviluppare sistemi volti a contrastare lo sviluppo della pandemia”, aggiunge Andrea Bianco, tecnologo INAF.

Covid sole

Il ruolo del sole nell’evoluzione del Covid

Il risultato ottenuto è molto importante al fine comprendere come gli ultravioletti prodotti dal sole possano incidere sulla pandemia, inattivando in ambienti aperti il virus. In questo caso ad agire non sono i raggi ultravioletti corti UV-C, bensì i raggi UV-B e UV-A.

In estate, specialmente nelle ore più calde, bastano pochi minuti perché la luce ultravioletta del sole riesca a rendere inefficace il virus. “Il nostro studio sembra spiegare molto bene come la pandemia si sia sviluppata con più potenza nell’emisfero nord della Terra durante i primi mesi dell’anno; e ora stia spostando il proprio picco nei Paesi dell’emisfero sud, dove sta già iniziando l’inverno, attenuandosi invece nell’emisfero nord”, aggiunge Fabrizio Nicastro, ricercatore INAF.

Le attività intraprese da INAF contro la pandemia sono iniziate lo scorso marzo su specifico impulso del ministero di Università e Ricerca. Le tecnologie e le competenze sviluppate in ambito astrofisico trovano ora applicazione e grande utilità per la società civile e sono utili al mondo imprenditoriale.

La pelle di seppia è naturalmente antimicrobica

pelle di seppia

Un nuovo studio ha appena concluso che la pelle di seppia è naturalmente antimicrobica, il che la rende un prodotto medico potenzialmente molto prezioso. Molti tipi di calamari hanno la capacità di cambiare il colore delle cellule della pelle (cromofori) al fine di fondersi con l’ambiente. Questa capacità consente a questi animali di nascondersi dai predatori, un meccanismo che si attiva quando un calamaro si sente minacciato.

Di recente, un team di scienziati spagnoli e messicani ha identificato il pigmento nei cromatogrammi di calamari di Humboldt come omocromico. L’analisi chimica ha dimostrato che l’omocromo di colore viola è un composto chiamato xantomatina, che gli scienziati hanno scoperto di avere forti proprietà antimicrobiche.

 

Cos’è la xantomatina

La xantomatina è in grado di inibire la crescita di vari microrganismi che possono causare malattie nell’uomo, tra cui il fungo Candida albicans (che causa candidosi e infezioni) e batteri come la Salmonella enterica.

L’articolo scientifico, recentemente pubblicato sul Journal of Microbiology, Biotechonology and Food Sciences, ha portato ulteriori dettagli sul fatto che la pelle di seppia viene spesso scartata come rifiuto di pesca. Tuttavia, questa nuova ricerca mostra che potrebbe essere utilizzata per produrre preziosi composti medici

I calamari di Humboldt non sono i soli a produrre questo pigmento. Altre specie, come l’Euprymna scolopes, producono anche il pigmento antimicrobico.

Mistero GPS: navi si “teletrasportano” tra i continenti e si muovono in cerchio

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Uno strano fenomeno sta coinvolgendo le navi di tutto il mondo: il “teletrasporto” tra i continenti e la loro posizione GPS è falsa. A volte sono misteriosamente a migliaia di chilometri di distanza dalla loro reale posizione.

All’alba del 31 maggio, gli ufficiali a bordo della petroliera Willowy furono chiamati a sapere che la loro nave e altre quattro stavano misteriosamente navigando in cerchio, incapaci di governarla e in rotta di collisione. Immediatamente, si è pensato che forti correnti spingessero le navi. Tuttavia, non c’erano correnti di questo tipo in cui le navi navigavano nell’Oceano Atlantico meridionale, a ovest di Cape Town, in Sudafrica.

Le navi che sembrano navigare in cerchio sono diventate un fenomeno sempre più comune e misterioso vicino a diversi porti sulla costa della Cina, in particolare vicino a terminal petroliferi e strutture governative.

In ogni caso, era chiaro che la posizione effettiva, nelle osservazioni più recenti, erano a migliaia di chilometri di distanza – letteralmente, dall’altra parte del globo, nella maggior parte dei casi. I ricercatori che hanno tenuto sotto controllo questi bizzarri cerchi al largo della costa cinese credono che siano probabilmente il risultato di una manipolazione sistematica del GPS progettata per minare un sistema di localizzazione che tutte le navi commerciali devono usare secondo il diritto internazionale.

 

Sistema di identificazione automatizzato

Conosciuta come AIS (sistema di identificazione automatizzato), questa tecnologia trasmette identificatori univoci per ogni nave, insieme alla posizione, alla rotta e alla velocità GPS ad altre navi vicine.

Precedenti incidenti di “circolazione delle navi” in Cina erano causati da una qualche forma di interferenza GPS. I report di fitness tracker basati su GPS sono stati influenzati in modo simile nella stessa area e allo stesso tempo. Al momento non ci sono dati simili per questi eventi marittimi.

L’analisi è inoltre ostacolata dal basso numero di navi coinvolte – solo 12. Le navi interessate sono di tipi e operazioni molto diversi. Le imbarcazioni pilota, le barche da lavoro, i rimorchiatori, le navi mercantili e passeggeri sono state tutte coinvolte nel fenomeno. Queste navi erano situate in tutte le regioni del mondo, ad eccezione del Nord America.

Anche la durata di queste interruzioni variava ampiamente. La più breve registrata era quella di una nave cargo – meno di mezz’ora. Una barca dell’equipaggio è stata “fuori posto” per più di 16 giorni.

La maggior parte delle navi ha riportato posizioni circolanti sulla costa settentrionale della California, sebbene due siano state spostate a Madrid, una nel quartiere di Hong Kong e una nella città cinese di Shanwei. La nave più colpita ha riportato per la prima volta una falsa posizione nel Mare della California del Nord.

Gli esperti ammettono apertamente di non poter spiegare questo fenomeno. Sembra essere correlato al GPS, ma la mancanza di somiglianze tra navi e incidenti rende difficile dedurlo.

Per il momento, il fenomeno delle navi che navigano e si teletrasportano tra i continenti rimane un mistero.

Super Nintendo World, il mondo di Super Mario prende forma negli Universal Studios Japan

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Negli Universal Studios Japan è attualmente in costruzione la prima area tematica dedicata interamente a Super Mario. Chiamata Super Nintendo World, l’area si rivela per la prima volta dal vivo attraverso un video pubblicato su Twitter. Il filmato dura solo un minuto, ma è abbastanza per accorgersi che tutto pare una riproduzione perfettamente fedele del mondo di Super Mario, tanto da sembrare un livello del gioco nella realtà.

L’attenzione meticolosa nei dettagli è sorprendente. Monete che ruotano in sincro, una minacciosa pianta Pirhana che si muove realmente, una pila di Goomba, e si intravede anche Yoshi muoversi tra gli alberi. Esteticamente tutto è stato rigorosamente riprodotto con la prospettiva bidimensionale del gioco originale e con tutti gli elementi che i fan sapranno sicuramente riconoscere. Impressionante anche la riproduzione del castello del malvagio Bowser con tanto di volto gigante scolpito all’ingresso della sua dimora.

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Un mondo di avventure a tema Mario attendono i visitatori del Super Nintendo World

Tra l’altro a giudicare da una foto dall’alto pubblicata su Instagram tempo fa, Super Nintendo World è sorprendentemente grande. Purtroppo, non sappiamo ancora quando le persone potranno finalmente esplorare il Super Nintendo World. L’apertura dell’area era prevista per questo mese, ma lunedì l’apertura è stata rinviata in data da definire a causa della pandemia di Covid-19. Universal Studios Japan ha riaperto a giugno, ma con l’introduzione di ulteriori linee guida sulla sicurezza.

Tuttavia, già sono stati rivelati alcuni dettagli sulle attrazioni che Super Nintendo World riserverà ai propri visitatori. Ci sarà una corsa basata su Yoshi (se guardate da vicino le foto, potete individuare quelle che sembrano auto a tema Yoshi schierate in fila) e una basata sulla popolarissima serie Mario Kart di Nintendo. I visitatori potranno anche utilizzare un braccialetto a tema Mario chiamato “Power Up Band” in combinazione con un’app per smartphone per tenere traccia delle attività mentre ci troviamo nell’area a tema Nintendo. Super Nintendo World è anche in programma per i parchi Universal Studios a Orlando, Hollywood e Singapore in futuro ancora non precisato.

“La pandemia è appena iniziata”, secondo il virologo Peter Piot

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Peter Piot, virologo di fama internazionale nonchè uno dei primi scienziati ad aver scoperto il virus Ebola, ha dichiarato in un’intervista rilasciata al quotidiano spagnolo El Pais che la pandemia di coronavirus che il mondo sta tutt’oggi fronteggiando è ancora lungi dal poter essere dichiarata conclusa. Anche nei paesi dove il picco epidemico è stato raggiunto ormai da mesi, come l’Italia, si stanno verificando focolai di diversa intensità, segno della grande resistenza e persistenza del patogeno. Il punto di vista fornito da Piot si è infatti rivelato estremamente prezioso per due ordini di motivi: innanzitutto da scienziato che ha osservato la struttura del virus, e poi da contagiato, avendo contratto il nuovo coronavirus all’inizio dell’anno.

 

Secondo Piot, la pandemia sarà alle spalle solo con l’arrivo del vaccino

La pandemia è tutt’altro che finita“, ha affermato Piot. “Oggi ho una maggiore consapevolezza di ciò che stiamo affrontando non solo perchè l’ho studiato, ma anche perchè l’ho provato sulla mia pelle ammalandomi. Ho quindi potuto osservare il tutto da una prospettiva diversa, che mi ha fornito molte informazioni utili a combattere il virus“. Piot aggiunge che i dati relativi a contagi e decessi complessivi in tutto il mondo sarebbero fortemente al ribasso: “Penso che siamo realisticamente vicini ai 20 milioni di contagi in tutto il mondo, con un numero di morti molto superiore a quello ufficiale. Purtroppo la pandemia di coronavirus, come quella di HIV, è estremamente subdola e silenziosa; si tratta peraltro della causa della più grande crisi socio-economica del nostro tempo e non può essere presa alla leggera“.

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Secondo Piot, dobbiamo tenerci adesso pronti per la probabile seconda ondata di contagi: “Credo che si concretizzerà in maniera diversa da quanto abbiamo visto in questi mesi e probabilmente consisterà in focolai sparsi come li stiamo osservando in Germania, nel famoso mattatoio, e nei locali notturni in Corea; anche nel Regno Unito continuano a registrarsi sempre più casi in alcune case di cura. Purtroppo potremo dirci davvero al sicuro nel momento in cui non ci saranno più persone in grado di restare infettate e per questo ci vorrà ancora molto tempo. Il vaccino sarà infatti pronto entro ottobre, secondo molto, ma credo che sia più probabile vederlo nel corso del 2021. Sarà questa l’unica cosa a poter tenere sotto controllo la pandemia“.

Fukushima e Chernobyl alle isole Marshall: rilevate scorie radioattive

Isole Marshall

A Runit, un isolotto che fa parte delle Isole Marshall, nell’Oceano Pacifico centrale, c’è una grande cupola di cemento. Fu costruita dagli Stati Uniti nel 1980 per conservare le scorie nucleari derivate dalle decine di test su bombe atomiche condotti nei decenni precedenti.

A distanza di quasi 40 anni, quella cupola sta crepando e viene raggiunta sempre più di frequente dalle acque oceaniche, a causa dell’innalzamento dei mari dovuto al riscaldamento globale.

 

Isole Marshall, le scorie radioattive sono più elevate di Fukushima e Chernobyl

In una recente visita in alcune isole del Pacifico, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha detto di essersi confrontato con la presidente delle Isole Marshall, Hilda Heine, ricevendo notizie poco incoraggianti; lo stato insulare non ha le risorse per occuparsi del problema, con il rischio concreto di contaminazioni da materiale radioattivo nelle acque intorno all’atollo Enewetak.

Le Isole Marshall divennero famose nella seconda metà degli anni Quaranta del Novecento, quando gli Stati Uniti avviarono i loro test per sperimentare ordigni nucleari, sganciando bombe su alcuni degli atolli su cui avevano all’epoca il controllo. “Castle Bravo”, il test più famoso e con la bomba più potente, fu realizzato sull’atollo di Bikini il primo marzo del 1954.

La reazione atomica causò la formazione di un grande bagliore rosso, seguito pochi istanti dopo da una nube a fungo che raggiunse i 7 chilometri di altezza. L’esplosione fu mille volte più potente di quella che aveva distrutto buona parte della città giapponese di Hiroshima, alla fine della Seconda guerra mondiale.

L’esperimento di Bikini sarebbe diventato famoso e molto discusso, anche per alcuni gravi errori di valutazione da parte dell’esercito statunitense e dei suoi scienziati. L’esplosione interessò un’area due volte e mezza più grande rispetto a quanto calcolato. Ceneri e polveri radioattive si dispersero in un’area di 18 chilometri quadrati, ricoprendo altre isole non evacuate e sulle quali vivevano centinaia di persone.

Isole Marshall

La zona è stata scenario di prove di ordigni nucleari

Come avrebbero poi raccontato alcuni testimoni, sembrava quasi che si fosse messo a nevicare. Gli abitanti non sapevano che quegli strani fiocchi dal cielo fossero prodotti da un’esplosione atomica: c’era chi si mise a giocarci e chi li assaggiò, come si fa coi veri fiocchi di neve.

Nella seconda metà degli anni Settanta gli Stati Uniti avviarono programmi di bonifica delle Isole Marshall sottoposte ai test atomici. Sull’atollo di Enewetak lavorarono circa 4mila membri dell’esercito per rimuovere oltre 73mila metri cubi di suolo contaminato dagli isolotti.

Il materiale fu depositato in un cratere largo un centinaio di metri, formato in seguito a un test atomico nel 1958. L’operazione di bonifica richiese tre anni di lavoro; intorno a quella che fu definita dagli abitanti locali “la tomba”.

Isole Marshall

Formazione di crepe nella struttura di cemento costruita per mantenere le scorie

Nel 1980 si decise di coprire il cratere con una grande cupola di cemento spessa poco meno di mezzo metro. Era una soluzione temporanea in attesa di trovare un luogo più adeguato. Pochi anni dopo gli Stati Uniti autorizzarono le Isole Marshall a governarsi da sole.

Le ispezioni condotte negli ultimi anni hanno evidenziato la formazione di crepe nella struttura di cemento, con il rischio che il materiale radioattivo contenuto al suo interno possa disperdersi, causando nuovi danni ambientali. Tra gli isotopi presenti c’è il plutonio-239, che ha lunghissimi tempi di decadimento ed è ancora radioattivo.

Un’ulteriore complicazione è quella che il cratere non è ancora rivestito e isolato, prima di depositarvi il materiale radioattivo. Il fondo per esempio è permeabile e quindi raggiunto dall’acqua durante i picchi di marea. È probabile che le acque intorno all’isolotto siano già contaminate, anche se si ritiene che attualmente i livelli di radiazioni continuino a essere bassi ed entro i limiti di sicurezza.

Il governo delle Isole Marshall dice di non avere le risorse per isolare meglio la cupola. Le preoccupazioni sono legate soprattutto al progressivo aumento del livello dei mari e agli effetti degli eventi climatici sempre più intensi, a cominciare dai tifoni.

Scorpioni marini giganti dominavano le acque dell’Australia preistorica

scorpioni marini

Prima che l’estinzione abbattesse i dinosauri e spazzasse via il 95% di tutti gli organismi, c’era l’Era Paleozoica. Durante questo periodo nella storia della Terra, tra 541 milioni e 252 milioni di anni fa, gli artropodi (animali con esoscheletri come insetti, crostacei, scorpioni e granchi a ferro di cavallo) esploravano gli estremi delle dimensioni, da piccoli a enormi. In effetti, alcuni artropodi paleozoici erano all’epoca i più grandi animali sulla Terra. Tra questi si nascondevano i più temibili: gli scorpioni di mare, Eurypterida.

La nostra nuova ricerca, pubblicata su Gondwana Research, è la raccolta più completa di informazioni su queste affascinanti creature che un tempo vagavano per le acque australiane. Sebbene Eurypterida assomigliasse in larga misura agli scorpioni (con una forma del corpo simile, sebbene costruita per nuotare), non lo erano. Erano più simili ai cugini degli scorpioni moderni.

Gli scorpioni marini includono i più grandi predatori marini mai nati nei reperti fossili, tra cui una specie ritenuta lunga più di 2,5 metri, Jaekelopterus rhenaniae. Allora, alcuni di questi giganti erano effettivamente nello stesso posto nella loro rete alimentare del grande squalo bianco moderno. Questi probabilmente agili nuotatori avrebbero usato i loro grandi arti anteriori, armati di artigli, per afferrare la loro preda, che avrebbero poi schiacciato tra strutture simili a denti sulle loro gambe (chiamate spine gnatobasiche).

Anche se non siamo sicuri di cosa abbiano mangiato questi grandi animali, è probabile che nel menu fossero presenti pesci e artropodi più piccoli. E se gli umani fossero stati in giro a nuotare nel mare, forse anche noi!

 

Un’inaspettata abbondanza di reperti fossili

L’Australia è famosa per la sua gamma di animali curiosi, tra cui specie moderne uniche come l’ornitorinco. E questa unicità si estende fino ai reperti fossili, con gli scorpioni di mare come esempio. Ma la documentazione scientifica e lo studio degli scorpioni di mare australiani è stata irregolare. Il primo esemplare documentato, pubblicato nel 1899, consisteva in una sezione di esoscheletro frammentata trovata a Melbourne. Prima della nuova ricerca che esaminava la completezza del gruppo in Australia, c’erano circa dieci registrazioni, e solo un altro tentativo di mettere insieme tutto. Come tale, la diversità e la diffusione di questi fossili era abbastanza incerta.

Rivisitare questi incredibili fossili ha comportato alcuni viaggi in diversi musei australiani. Questo viaggio alla scoperta paleontologica ha portato alla luce molti fossili di scorpione marino di quanto non fosse mai stato notato in precedenza. Di conseguenza, ora ci sono prove di possibili sei diversi gruppi esistenti in Australia. L’abbondanza di materiale proveniente da luoghi e periodi diversi, in particolare da Victoria, è stata inaspettata.

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C’è ancora molto da documentare sui titani che dominavano gli oceani preistorici dell’Australia

Oltre a mostrare il maggior numero di scorpioni di mare australiani, il nuovo documento sottolinea anche la mancanza generale di informazioni su questi animali. Nonostante ci sia materiale molto frammentato, esiste solo un campione (per lo più) completo, Adelophthalmus waterstoni, che misura solo 5,7 cm di lunghezza.

Le ricerche future comporteranno la rivisitazione dei siti in cui questi campioni sono stati originariamente raccolti, nella speranza di trovare campioni più completi. Questo non solo aiuterà a documentare meglio le specie di scorpione di mare australiano, ma consentirà anche una comprensione più completa degli ambienti in cui vivevano. Alla fine, una cosa è chiara: resta ancora molto da scoprire su questi titani che nuotavano negli oceani preistorici dell’Australia.

Agenzia delle Entrate, come difendersi dalla nuova frode online

Agenzia delle Entrate

Occhio all’ultimo tentativo di truffa che arriva dall’Agenzia delle Entrate con una semplice email. Con oltre 500 truffe e frodi on line al giorno ad aziende e famiglie, internet diventa sempre più un luogo pieno di trappole pericolose per i computer e per il portafogli.

E’ quanto emerge da una elaborazione dell’Unione europea delle cooperative  su dati Istat in riferimento all’allarme lanciato dall’Agenzia delle Entrate per un attacco pishing nazionale di mail truffa che riportano nell’oggetto la dicitura “IL DIRETTORE DELL’AGENZIA”. Nel testo invitano a prendere visione di documenti Office contenuti in un archivio.zip per verificare la conformità dei propri pagamenti.

Agenzia delle Entrate

Agenzia delle Entrate di nuovo sotto attacco pishing

I truffatori usano falsi loghi dell’Agenzia delle Entrate, di banche o Poste, per tentare di ottenere informazioni riservate e magari password e codici di conti correnti bancari o postali. Per evitare di dare i propri dati sensibili ai truffatori sul web bisogna verificare sempre i mittenti sconosciuti delle email, senza aprire allegati e senza seguire i link presenti nelle mail.

Questo lo evidenzia Uecoop, che ha lanciato un alert alle cooperative perché non abbassino la guardia nonostante gli impegni e i problemi della difficile ripartenza della Fase 3. Le truffe on line rappresentano un fenomeno preoccupante considerato che gli italiani hanno nel portafoglio oltre 98 milioni di tessere bancomat, carte di credito e carte prepagate.

I pagamenti con la moneta elettronica sono spinti anche dall’on line con quasi 9 italiani su 10 (88%) che si collegano ogni giorno a Internet e fanno acquisti per un valore totale degli acquisti che sfiora i 14 miliardi di euro annui.

Per ridurre il rischio occorre seguire alcune semplici regole: utilizzare software e browser completi ed aggiornati, avere un buon sistema antivirus, dare la preferenza siti ufficiali, non fornire i propri dati a richieste che arrivano da indirizzi sconosciuti o sospetti. Studiare il contenuto delle mail e diffidare di quelle che sfoggiano un italiano stentato che potrebbe far pensare messaggi inviati da serve situati all’estero.

Inoltre non cliccare mai su qualsiasi tipo di link se non si è assolutamente certi e sicuri della provenienza della mail, non fornire mai i propri dati a siti sconosciuti e bisogna assolutamente evitare di comunicare codici o password di banche, Poste o carte di credito o bancomat.

Una bici elettrica veloce come un razzo, 80 km all’ora per la nuova Delfast Top 3.0

bici elettrica

La start-up ucraina Delfast, azienda specializzata in e-bike con specifiche sbalorditive, presenta la nuova Top 3.0. Come per i precedenti modelli la nuova motocicletta si propone come una vera potenza su due ruote. Con un peso di circa 69,9 kg, la bici è equipaggiata da un motore da 5.000 W posto nella ruota posteriore che gli consente di raggiungere una velocità di 80 km all’ora. Decisamente al di fuori dagli standard delle altre e-bike. Il mezzo vanta ovviamente anche i classici pedali, ma sarebbe come spingere la propria auto.

La nuova Delfast vanta anche una batteria Panasonic da 3200 mAh, più alta rispetto alcune motociclette elettriche, abbastanza per raggiungere un’autonomia di 321 km. Le attrezzature tecniche devono ovviamente essere in linea con le specifiche. Quindi, montata su un telaio completamente sospeso, la e-bike Delfast Top 3.0 è dotata di un ammortizzatore a molla, una doppia forcella a T e pneumatici per moto da 19 pollici.

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Delfast Top 3.0, una potente bici elettrica adatta ad ogni situazione

Una configurazione che invita l’utente a lasciare l’asfalto per sfidare terreni più impegnativi. Uno dei principali sviluppi tecnici rispetto al modello 2.0 è l’adozione di una cintura in carbonio Gates al posto della catena. Ci sono anche molti accessori tipici per i ciclomotori, come specchi, indicatori di direzione e parafanghi.

La Delfast Top 3.0 volendo può essere equipaggiata con accessori opzionali. Tra questi, un sedile aggiuntivo o un robusto bagaglio cremagliera per il fissaggio borse. Le scatole laterali standard possono essere attaccate e rimosse molto facilmente, ed è anche disponibile un rimorchio, che rende la bici adatta per lunghi viaggi. Secondo il produttore, la Delfast Top 3.0 sarà disponibile da agosto. I preordini sono già possibili sul sito del produttore; è richiesta una caparra di $ 1.000. Il prezzo totale è di $ 6.800.

Amazon: una marea di accessori hi-tech a prezzi ridotti

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Le offerte che stiamo per elencarvi sono, come al solito, a tempo limitato, di conseguenza, i prezzi e le disponibilità potrebbero variare da un momento all’altro. Vi consigliamo, se interessati, di approfittarne il prima possibile per non rimanere a mani vuote.

 

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Marte, la vita può essere trovata analizzando quella sulla Terra

nasa marte

Nella nostra continua ricerca di altra vita nell’universo, un posto è sempre sembrato promettente: Marte. È un pianeta roccioso come la Terra, in orbita attorno alla stessa stella, e ad una distanza dove l’acqua avrebbe potuto essere presente sul pianeta. Oggi, tuttavia, Marte è un deserto arido. Qualunque acqua che una volta aveva in superficie centinaia di milioni di anni fa è scomparsa da tempo, mentre la sua atmosfera è un guscio sottile della barriera più spessa che avrebbe potuto essere una volta. Ma il pianeta avrebbe potuto ospitare la vita in passato, e c’è una possibilità che una vita sul pianeta rosso sia sopravvissuta oggi?

 

La vita su Marte

Sulla Terra, la vita sopravvive in una vasta gamma di luoghi, dai deserti del Sahara ai ghiacciai ghiacciati dell’Antartide. La superficie di Marte oggi presenta somiglianze con alcune di queste posizioni, quindi se possiamo trovare la vita in questi luoghi sulla Terra, forse potrebbe essere anche su Marte.

Il dott. Dirk Schulze-Makuch dell’Università tecnica di Berlino, Germania, ha coordinato il progetto Habitability of Martian Environments (HOME), che ha studiato il terreno raccolto dal deserto di Atacama in Sud America ed ha esaminato quali microbi fossero presenti, se presenti. I risultati hanno mostrato che la vita era straordinariamente resistente.

“Abbiamo dimostrato che anche nel nucleo iper-arido, c’è ancora vita microbica attiva lì”, ha detto il Dr. Schulze-Makuch. “Abbiamo trovato diversi meccanismi di sopravvivenza. Ad esempio, alcuni microbi usano l’acqua direttamente dall’atmosfera, quindi non hanno bisogno di pioggia”.

Sebbene possiamo imitare le condizioni su Marte, tuttavia, non possiamo replicarle esattamente. La superficie di Marte ha livelli di radiazione molto più elevati rispetto a qualsiasi altra parte della Terra, e su Marte è disponibile molta meno acqua rispetto ai deserti più aridi della Terra. E’ comunque un grande passo in avanti per cercare di capire l’esistenza della vita sul Pianeta Rosso.

Il profumo della NASA dell’odore dello spazio è arrivato sul mercato

profumo

Lo spazio ha da sempre esercitato un enorme fascino sul genere umano. Fin dall’alba dei tempi l’uomo ha sempre cercato febbrilmente il modo di esplorarlo e di conoscerlo, quasi a ricercarvi la risposta al famigerato quesito “siamo davvero soli?”. Per ora, i progressi scientifici ci hanno permesso di esplorare quella che è una parte infinitesimale dell’universo e le nostre conoscenze sono ancora molto precarie. Qualcosa di “concreto”, però, potremmo averlo reperito dallo spazio, così che tutti possano avere un “assaggio del firmamento”: grazie ad una campagna su Kickstarter è giunto sul mercato addirittura un profumo che ricrea l’odore dello spazio.

 

Il profumo Eau de Space sarà prodotto solo per un periodo limitato di tempo, quindi sarà meglio affrettarsi!

Si chiama Eau de Space e potrebbe costituire non solo un interessante elemento da valutare dal punto di vista scientifico, ma anche un fattore meramente estetico, per puro piacere personale. Il profumo è stato sviluppato dalla NASA quasi un decennio fa e nasce con lo scopo di fornire agli astronauti in partenza per lo spazio un primo modo per “approcciarsi” alla loro nuova avventura, per potersi così abituare all’esperienza.

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Eau de Space è venduto in bottigliette, al massimo dieci per ogni ordine, e stando a quanto riferisce l’astronauta Tony Antonelli “ha un odore forte ed unico”. Insomma, qualcosa che non è mai stato possibile provare sulla Terra. Secondo chi ha potuto constatarlo, lo spazio avrebbe un odore affumicato e amaro, molto simile a “bistecca scottata, rum e lamponi“. Il rilascio del prodotto ha peraltro attraversato un travagliato percorso burocratico, che ha impedito alla NASA di commercializzarlo; ma ora il profumo è arrivato sul mercato. Il prezzo sarà di circa 29 dollari e sono previsti alcuni sconti sull’acquisto; data l’esclusività del prodotto, però, non verrà prodotto in serie e sarà quindi disponibile per un lasso di tempo limitato.

Amazon e i suoi codici sconto: il risparmio è imperdibile

codici sconto di Amazon possono davvero far risparmiare moltissimo i consumatori, l’unica cosa da fare, considerando appunto che i prezzi sono già bassi di loro, è proprio applicare il coupon prima di completare effettivamente l’acquisto, senza limitazioni particolari.

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Luna: le ipotesi sulla sua origine potrebbero essere presto riviste

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Come si è formata la Luna? È di quelle domanda a cui apparentemente abbiamo la risposta, ma che in realtà si tratta solo di un’ipotesi. Quella che viene ritenuta più affidabile è che sia un ammasso roccioso che si è staccato dalla Terra quando si stava ancora formando a causa di uno schianto. Questa teorie potrebbe cambiare a causa dello studio fatto su un particolare cratere del satellite naturale.

Le analisi di un cratere in particolare, ma anche di altri in realtà, hanno evidenziato la presenza di depositi di metalli, come ferro o titanio. La forte presenza di ferro all’esterno non sembra legarsi alla teoria già nota per via del fatto che la nostra crosta terreste è relativamente povera di questi metalli.

Con la nuova scoperta è possibile quindi che al di sotto della superficie lunare ci siano ancora più tracce di ferro e questo renderebbe la teoria principale ancora meno plausibile. Questa scoperta mette in dubbio quello che finora conoscevamo.

 

L’origine misteriosa della Luna

Le parole di Essam Heggy, ricercatore presso l’Università della California meridionale: “Solleva davvero la questione di cosa significhi questo per le nostre precedenti ipotesi di formazione. Migliorando la nostra comprensione di quanto metallo abbia effettivamente il sottosuolo della Luna, gli scienziati possono limitare le ambiguità su come si è formata, su come si sta evolvendo e su come sta contribuendo a mantenere l’abitabilità sulla Terra.”

In sostanza, c’è da rivedere tutto quello che finora sapevamo. Molti ricercatori si sono già messi all’opera per approfondire di più la nuova scoperta e magari dare una risposta certa una volta per tutte.

Amazon: impossibile resistere alle nuove promozioni del giorno

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Il noto sito di e-commerce Amazon ha appena dato il via alle nuove promozioni del giorno. Come al solito, solo prodotti a prezzi super convenienti. In questo articolo andiamo a scoprire i pezzi più interessanti.

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Le offerte che stiamo per elencarvi sono a tempo limitato, di conseguenza, i prezzi e le disponibilità potrebbero variare da un momento all’altro. Vi consigliamo, se interessati, di approfittarne il prima possibile per non rimanere a mani vuote.

 

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Windows 10, svelato il nuovo design del menu Start

windows 10 start

Microsoft sta introducendo un nuovo design del menu Start di Windows 10 che ridimensionerà le sue Live Tiles. Il colosso del software ha accennato per la prima volta al design rinnovato all’inizio di quest’anno e oggi sta arrivando per i tester di Windows 10. “Stiamo aggiornando il menu Start con un design più snello che rimuove i backplate a tinta unita dietro i loghi nell’elenco delle app e applica uno sfondo uniforme e parzialmente trasparente ai riquadri”, spiega Microsoft in un post.

In sostanza, la riduzione del colore dell’interfaccia piastrellata a blocchi nel menu Start semplifica leggermente la scansione delle app che usiamo quotidianamente. È un cambiamento sottile, ma certamente rende il menu Start un po ‘meno caotico ed evita che molte tessere condividano un colore blu simile.

 

Nuove modifiche in Alt-Tab

Oltre a un menu Start aggiornato, l’ultima build di Windows 10 include alcune grandi modifiche ad Alt-Tab. “A partire dalla build di oggi, tutte le schede aperte in Microsoft Edge inizieranno ad apparire in Alt-Tab, non solo quella attiva in ciascuna finestra del browser”, spiega Microsoft. Questo sembra un cambiamento un po’ confuso per gli utenti esperti di Windows, ma per fortuna Microsoft consente di tornare alla classica esperienza Alt-Tab.

Microsoft ha sperimentato modifiche Alt-Tab nelle build di Windows 10 in passato, quando l’azienda stava pianificando di aggiungere schede a ogni app. Probabilmente ci saranno molti feedback su eventuali modifiche Alt-Tab, soprattutto se Microsoft prevede di attivarlo come impostazione predefinita quando il suo prossimo aggiornamento di Windows 10 verrà pubblicato entro la fine dell’anno.

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Windows 10, il nuovo aggiornamento porterà nuovi miglioramenti anche alla barra delle applicazioni

Microsoft sta inoltre apportando alcune piccole migliorie con questa nuova build di Windows 10. L’aspetto predefinito della barra delle applicazioni sarà ora più personalizzato con l’app Xbox per gli utenti Xbox Live o il telefono per gli utenti Android. Questo sarà limitato alla creazione di un nuovo account su un PC o al primo accesso, quindi i layout della barra delle attività esistenti rimarranno invariati.

Le notifiche ora includono una X nell’angolo in alto a destra per consentirci di eliminarle rapidamente e Microsoft sta anche migliorando la sua app Impostazioni in Windows 10. I collegamenti che in genere spingerebbero verso la pagina di sistema del Pannello di controllo verranno ora indirizzati alla pagina Informazioni in Impostazioni. Questo ora ospiterà i controlli più avanzati. Microsoft promette “ci saranno ulteriori miglioramenti in arrivo che porteranno ulteriormente le Impostazioni più vicine al Pannello di controllo”.

Ecco gli xenofiofori, organismi monocellulari scoperti nel Pacifico

xenofiofori

Quattro nuove specie di organismi monocellulari sono state scoperte nelle profondità del Pacifico. Gli “xenofiofori monocellulari” sono stati scoperti dai ricercatori del National Oceanography Centre (NOC) nel Regno Unito, dell’Università delle Hawaii e dell’Università di Ginevra, in Svizzera. Le specie sono state scoperte utilizzando un drone sottomarino, nella zona occidentale di Clarion Clipperton, dove il fondale marino è profondo più di 5 chilometri. Gli esemplari, campionati nel 2018, sono stati analizzati e da tali studi è scaturita la scoperta delle nuove specie.

 

Gli xenofiofori costituiscono una interessantissima scoperta

La scoperta coinvolge infatti quattro nuove specie e due nuovi generi. Un genere è stato chiamato “Moanammina” da “Moana”, parola hawaiana che vuol dire “oceano”. L’altro è stato chiamato “Abyssalia” in onore dell'”abisso” in cui è stato scoperto. “Siamo entusiasti di aver trovato questi spettacolari xenofiofori“, ha dichiarato Andrew Gooday, professore al NOC e autore principale dello studio.

xenofiofori

L’abbondanza e la diversità di questi giganteschi organismi monocellulari è davvero sorprendente!“, ha dichiarato l’oceanografo Craig Smith della Manoa School of Ocean and Earth Science and Technology. Gli oceani quindi continuano a svelare i loro innumerevoli segreti; peraltro, in uno studio pubblicato all’inizio di quest’anno, alcuni scienziati hanno annunciato la scoperta di una misteriosa creatura a 10 cellule in grado di sopravvivere senza ossigeno e si tratterebbe di un parassita imparentato con meduse e coralli.

Elettrodi per batterie dai gusci dei gamberi, il nuovo progetto dei ricercatori spagnoli

batterie gamberi elettrodi

Un progetto di ricercatori spagnoli e altri collaboratori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) suggerisce l’uso della chitina da gusci di gamberi per produrre elettrodi per batterie a flusso di vanadio. I risultati del lavoro sono stati recentemente pubblicati su ACS Sustainable Chemistry & Engineering .

“Proponiamo di produrre questi elettrodi a batteria a flusso di vanadio dalla chitina, un materiale proveniente dai gusci dei gamberi, che oltre al carbonio contiene azoto”, afferma Francisco Martin-Martinez, autore dello studio. “Le batterie a flusso di  vanadio, a differenza delle batterie al litio, non forniscono un’alta densità di energia, ma un grande volume di accumulo di energia a basso costo, il che le rende ideali per immagazzinare energia da fonti rinnovabili come il solare e l’eolico”.

Martín-Martínez, un esperto nello sviluppo di materiali di ispirazione bio, sottolinea che gli elettrodi di carbonio sono generalmente utilizzati per facilitare il flusso di elettroni da un lato della batteria all’altro. “Abbiamo prodotto questi elettrodi dalla chitina. La chitina è un polisaccaride, simile alla cellulosa, che si trova nell’esoscheletro di crostacei e insetti”.

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Prestazioni migliorate

La particolarità della chitina, riferisce Martinez, “è che, oltre al carbonio, contiene anche azoto, che viene incorporato nella struttura dell’elettrodo durante il processo di produzione, migliorandone le prestazioni. Questo parametro è stato caratterizzato in dettaglio dagli autori nel documento.

In effetti, il team ha dimostrato i benefici dell’azoto nella struttura chimica dell’elettrodo, dove facilita il trasferimento di elettroni tra gli ioni di vanadio. “Ovviamente, ci sono elettrodi in carbonio che possono fornire prestazioni migliori, ma la chiave di questo progetto è quella di produrre elettrodi da un materiale di scarto, in questo caso, chitina da gusci di gamberi”, afferma Martín-Martínez.

Allo stato attuale, elettrodi di questo tipo sono principalmente realizzati in poliacrilonitrile carbonizzato, un polimero sintetico, quindi la sua produzione da un prodotto di scarto come la chitina è, secondo l’opinione di Martín-Martínez, “un’alternativa più sostenibile”. Secondo Martín-Martínez questi elettrodi ricavati dai gamberi potrebbero essere applicati anche in supercondensatori, dispositivi elettrochimici e persino nei processi di desalinizzazione.

Apple: iPad e Mac con display mini-LED pronti entro i prossimi 18 mesi

Apple iPad Pro mini-LED

Sono mesi che l’azienda della mela morsicata, Apple, lavora su dei nuovi modelli di iPad e Mac dotati di display mini-LED. Sembra che il momento del debutto sia quasi arrivato. Stando a quanto confermato dai colleghi di Digitimes, il colosso di Cupertino avrebbe preso accordi con due nuovi fornitori per velocizzare la produzione dei device. Questi saranno pronti entro i prossimi 18 mesi. Ecco tutti i dettagli a riguardo.

I display mini-LED offrono una serie di interessanti vantaggi. A differenza dei classici pannelli, questi utilizzano molti più LED. Ciò fa si che ci siano molte più zone di oscuramento totale su cui lavorare. Il primo iPad dotato di questo display dovrebbe arrivare entro i primi mesi del 2021 mentre, il primo Mac entro la fine del 2021. Scopriamo quali saranno i produttori dei pannelli.

 

Apple: il lancio dei prodotti con display mini-LED è sempre più vicino

La casa della mela morsicata, Apple, sembra essersi accordata con due nuovi fornitori di pannelli mini-LED, Zhen Ding Technology e Flexium Interconnect. Questi e Young Poong Electronics si contenderanno le percentuali di produzione dei pannelli. L’intento sarà quello di velocizzare il più possibile i tempi di produzione. Secondo una prima stima, sia gli iPad che gli iMac dotati di questa tecnologia arriveranno sul mercato entro i prossimi 18 mesi.

Sembra quasi certo al 100% che il primo dispositivo che arriverà sul mercato con tali display sarà iPad Pro 2021. Come migliorerà la qualità del display? Lo scopriremo solo nelle prossime settimane. Restate in attesa per ulteriori aggiornamenti a riguardo.

Come la sabbia verde può catturare tonnellate di anidride carbonica

sabbia verde

Un paio di insenature fiancheggiate da palme formano due strette tacche, a circa un quarto di miglio di distanza, lungo la costa di un’isola sconosciuta da qualche parte nei Caraibi. Immaginate una distesa enorme di sabbia verde che assorbe tonnellate di anidride carbonica.

Dopo una visita in loco all’inizio di marzo, i ricercatori del progetto no profit Vesta di San Francisco hanno stabilito che le doppie prese forniscono un luogo ideale per studiare un metodo per catturare l’anidride carbonica.

 

Sabbia verde, un’opportunità non sfruttata

Entro la fine dell’anno, il Progetto Vesta prevede di diffondere un minerale vulcanico verde noto come olivina, macinato fino a diventare particelle di sabbia, attraverso una delle spiagge. Le onde abbatteranno il materiale altamente reattivo, accelerando una serie di reazioni chimiche che estraggono il gas serra dall’aria.

Questo processo, insieme ad altre forme di miglioramento degli agenti atmosferici minerali, potrebbe potenzialmente immagazzinare centinaia di miliardi di tonnellate di anidride carbonica, secondo un rapporto delle Accademie nazionali dell’anno scorso. È molto più anidride carbonica di quanto gli esseri umani abbiano pompato fuori dall’inizio della rivoluzione industriale. A differenza dei metodi di rimozione del carbonio che si basano su suolo, piante e alberi, sarebbe effettivamente permanente.

Tuttavia ci sono grandi domande su questo processo. Come si estrae, macina, spedisce e diffonde le enormi quantità di minerali necessarie senza produrre più emissioni di quelle che il materiale rimuove? E chi lo pagherà?

I ricercatori non sanno ancora quante onde accelereranno questi processi o quanto bene possiamo misurare e verificare l’assorbimento del carbonio; quali tipi di effetti ambientali potrebbero derivare o quanto prontamente il pubblico abbraccerà l’idea di versare minerali verdi macinati lungo le spiagge.

sabbia verde

Agenti atmosferici, riciclare l’anidride carbonica attraverso scale geologiche

Gli agenti atmosferici minerali sono uno dei principali meccanismi che il pianeta utilizza per riciclare l’anidride carbonica attraverso scale temporali geologiche. L’anidride carbonica catturata nell’acqua piovana, sotto forma di acido carbonico, dissolve rocce e minerali di base, in particolare quelli ricchi di silicato, calcio e magnesio, come l’olivina.

Questo produce bicarbonato, ioni di calcio e altri composti che si diffondono negli oceani, dove gli organismi marini li convertono nel carbonato di calcio solido e stabile che costituisce i loro gusci e scheletri. Le reazioni chimiche liberano idrogeno e ossigeno nell’acqua per estrarre più anidride carbonica dall’aria.

Nel frattempo, quando muoiono coralli e molluschi, i loro resti si depositano sul fondo dell’oceano e formano strati di calcare e simili rocce. Il carbonio rimane bloccato lì per milioni o centinaia di milioni di anni, fino a quando non viene rilasciato di nuovo attraverso l’attività vulcanica.

L’idea di sfruttare gli agenti atmosferici per combattere i cambiamenti climatici non è nuova. Un articolo pubblicato su Nature ha proposto di utilizzare silicati per catturare l’anidride carbonica 30 anni fa. Tuttavia il miglioramento degli agenti atmosferici ha ricevuto poca attenzione da decenni rispetto ad approcci più semplici come piantare alberi, alterare le pratiche agricole o persino costruire macchine per aspirare CO2.

Questo è perché è difficile da fare, afferma Jennifer Wilcox, un professore di ingegneria chimica presso il Worcester Polytechnic Institute in Massachusetts. Ogni approccio ha le sue particolari sfide e compromessi, ma ottenere i minerali giusti della giusta dimensione nel posto giusto è sempre un’impresa costosa e complessa.

Nel frattempo, Gregory Dipple presso l’Università della British Columbia sta esplorando vari usi per i minerali molto reattivi e altamente reattivi prodotti come sottoprodotto dell’estrazione di nichel, diamante e platino. Un’idea è semplicemente posizionarli su un campo, aggiungere acqua ed efficacemente fino alla sospensione.

sabbia verde

Progetto Vesta, migliorare gli agenti atmosferici costieri

Si aspettano che i cosiddetti sterili da miniera attingano e mineralizzino rapidamente l’anidride carbonica dall’aria, formando un solido blocco che può essere seppellito. I loro modelli mostrano che potrebbe eliminare l’impronta di carbonio di alcune miniere o addirittura rendere le operazioni negative al carbonio.

Il progetto Vesta ha svelato i piani per andare avanti con il suo studio pilota nei Caraibi a maggio. Ciò ha seguito da vicino l’ annuncio della società online Stripe che avrebbe pagato in anticipo il non profit per rimuovere 3.333 tonnellate di anidride carbonica come parte del suo impegno a spendere almeno 1 milione di dollari all’anno per progetti di emissioni negative.

Il progetto Vesta ha ottenuto l’autorizzazione per iniziare a condurre campionature sulle spiagge e intende annunciare la posizione una volta finalizzate le approvazioni per procedere con l’esperimento. Stima il costo totale per il progetto a circa 1 milione di dollari.

L’obiettivo principale dello studio è quello di iniziare ad affrontare alcune delle incognite scientifiche che circondano il miglioramento degli agenti atmosferici costieri. Ricerche e simulazioni di laboratorio hanno scoperto che le onde accelereranno la rottura dell’olivina e l’esecuzione di questo processo potrebbe compensare tutte le emissioni umane annuali.

Il progetto Vesta spera di portare gli scienziati sul sito per iniziare l’esperimento effettivo entro la fine dell’anno. Dopo aver diffuso l’olivina su una delle spiagge, controlleranno attentamente la rapidità con cui le particelle si rompono e si lavano via. Misureranno anche come l’acidità, i livelli di carbonio e la vita marina si spostano nella baia e come si confrontano le condizioni nel sito di controllo.

In definitiva, il team spera di produrre dati che dimostrino quanto velocemente questo processo funzioni e quanto possiamo catturare e verificare l’assorbimento aggiuntivo di anidride carbonica. Tutti questi risultati possono essere utilizzati per perfezionare i modelli scientifici.

L’analisi genetica rivela pratiche di incesto tra l’élite preistorica dell’Irlanda

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Gli scienziati hanno analizzato i resti di un uomo che è stato sepolto a Newgrange, un monumento archeologico, costruito più di 5.000 anni fa, in Irlanda. L’analisi del genoma dei resti di un uomo della tarda età della pietra, trovata in una delle tombe di Newgrange, in Irlanda, ha rivelato casi di consanguineità tra i parenti di primo grado dell’élite sociale di quel tempo.

Tutti abbiamo ereditato due copie del genoma: una da nostra madre e una da nostro padre“, ha iniziato a spiegare Lara Cassidy, ricercatrice del Trinity College di Dublino e autrice principale dello studio pubblicato questo mercoledì sulla rivista Nature.

L’esperta ha sottolineato che, in questo caso, entrambi “erano estremamente simili“, il che ha suggerito un segno di incesto. E “in effetti, le nostre analisi ci hanno permesso di confermare che i suoi genitori erano parenti di primo grado“, ha aggiunto.

Relazioni di questo tipo, ad esempio tra fratelli e sorelle, sono un tabù quasi universale per ragioni culturali e biologiche. L’accettazione sociale di questa situazione è sempre stata trovata tra le élite, specialmente all’interno di una famiglia reale divinizzata. Infrangendo le regole, l’élite si separò dalla gente comune, intensificando la gerarchia e legittimando il proprio potere.

 

Una gerarchia “estrema”

Il prestigio della sepoltura rende molto probabile che si trattasse di un sindacato accettato dalla società“, ha dichiarato Dan Bradleyl, professore presso la stessa università irlandese. “Questo dimostra una gerarchia così estrema che le uniche persone degne dell’élite erano membri della propria famiglia“, aggiunge.

Oltre a questa scoperta, il team ha trovato una rete di relazioni familiari tra quest’uomo e altre persone provenienti da diverse parti dell’Irlanda. “Sembra che questo sia un potente gruppo di parenti lontani che hanno avuto accesso a siti di sepoltura per l’élite in molte regioni dell’isola per almeno 500 anni“, ha concluso Cassidy.

Sebbene Newgrange sia persino più antica della Grande Piramide di Giza in Egitto, non si sa molto su chi fosse sepolto in questo monumento archeologico di 200.000 tonnellate o sulla società neolitica che la costruì più di 5.000 anni fa.

I dettagli de L’ultima cena di Da Vinci rivelati grazie a uno strumento di Google

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I dettagli di “L’ultima cena” dell’artista rinascimentale Leonardo Da Vinci sono stati recentemente rivelati grazie a uno strumento di scansione di Google. La Royal Academy of Arts di Londra è l’ultima istituzione artistica a unirsi a Google Arts and Culture in una partnership per digitalizzare più di 200 delle loro opere.

Tra queste duecento opere, venti sono state digitalizzate utilizzando la tecnologia Art Camera di Google, uno strumento che consente a coloro che visitano il sito di avere una visione più vicina possibile dell’opera digitalizzata, offrendo la possibilità di vedere i dettagli delle opere che spesso passano inosservati.

Una delle opere digitalizzate utilizzando questo strumento di Google è la copia de “L’ultima cena” di Leonardo Da Vinci, dipinta dai suoi studenti Giampietrino e Giovanni Antonio Boltraffio. Esposta alla Royal Academy of Art, nel Regno Unito, è considerata la copia più accurata dell’opera originale del celebre artista italiano.

La grande differenza tra queste due opere sta nei materiali utilizzati: Da Vinci usava l’olio per creare l’opera su un muro, mentre i suoi studenti riprodussero la stessa opera con un olio più tradizionale su una tela. Il metodo più tradizionale ha permesso alla copia di invecchiare meglio, consentendo dettagli che altrimenti andrebbero persi nel tempo.

Grazie alle telecamere gigapixel di Google, è ora possibile vedere in dettaglio elementi perduti dell’opera originale, come i piedi di Gesù, che sono stati rimossi dall’opera originale quando una porta è stata inserita nel muro dell’opera.

È anche possibile vedere il dito alzato di Tommaso e un bicchiere rovesciato da Giuda, un riferimento al tradimento che avrebbe commesso in seguito.

Il progetto Google ha già una collezione digitale di oltre 100.000 opere. Una copia dell’opera originale di Da Vinci può essere vista in dettaglio sul sito web dell’iniziativa.