Nel cuore rovente del nostro pianeta, a migliaia di chilometri sotto i piedi, si muovono lentamente colossi invisibili: sono i BLOBS, enormi bolle di roccia calda nel mantello terrestre. Un nuovo studio pubblicato su Communications Earth and Environment suggerisce che queste formazioni misteriose potrebbero essere la scintilla silenziosa dietro alcune delle più devastanti eruzioni vulcaniche della storia del pianeta.
Cosa sono i BLOBS e dove si trovano
I BLOBS — acronimo di Big Lower-mantle Basal Structures — sono regioni di materiale roccioso estremamente caldo, localizzate a circa 2.000-3.000 km di profondità. Conosciamo due grandi strutture di questo tipo: una sotto l’Africa e una sotto l’Oceano Pacifico. Queste “bolle” hanno dimensioni continentali e sembrano essere rimaste attive per centinaia di milioni di anni.
Ma il loro ruolo nel motore geologico terrestre è ancora oggetto di studio. Le nuove simulazioni condotte dal team dell’Università di Wollongong (Australia) rivelano un legame diretto tra i BLOBS e la nascita di pennacchi del mantello, colonne di roccia calda che si muovono lentamente verso la superficie.
Il collegamento con le eruzioni vulcaniche giganti
Quando i pennacchi del mantello raggiungono strati meno profondi — dove la pressione è più bassa — possono dare origine a fusione parziale della roccia. Da questo processo nascono enormi volumi di magma, che possono sfociare in eruzioni vulcaniche gigantesche, come quelle che hanno segnato la storia della Terra: dall’estinzione dei dinosauri 66 milioni di anni fa, a quella del Permiano-Triassico.
Le tracce di questi fenomeni sono impresse sul fondale oceanico, negli altipiani sottomarini e nelle catene vulcaniche. I dati raccolti dai geologi sembrano combaciare perfettamente con le previsioni dei modelli: i BLOBS sono le radici silenziose di un vulcanismo capace di alterare il clima globale.
Un mondo in lento ma costante movimento
Anche se sembrano immobili, i BLOBS si muovono, spostandosi di centinaia di chilometri nel corso di milioni di anni. Secondo gli scienziati, si muovono alla velocità di circa un centimetro all’anno — quanto crescono i capelli in un mese. Un ritmo impercettibile per l’uomo, ma sufficiente a riscrivere la geografia e la biologia del pianeta nel lungo periodo.
Queste bolle giganti non sono solo curiosità geologiche: sono veri e propri ingranaggi del motore che alimenta i cambiamenti terrestri su scala globale. Capirle meglio potrebbe aiutarci a prevedere i futuri rischi vulcanici e a comprendere ancora più a fondo il battito profondo del nostro pianeta.
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La cronaca recente riporta un caso drammatico: un bambino di 4 anni è finito in ospedale per una grave necrosi dopo essere stato morso da un ragno violino. Questo piccolo aracnide, apparentemente innocuo e schivo, può però causare gravi danni ai tessuti umani se disturbato o schiacciato contro la pelle. Il caso del bambino ha riacceso l’attenzione su un pericolo spesso sottovalutato, soprattutto nelle zone in cui il ragno violino è ormai stabile, come nel centro e nel nord Italia.
Il ragno violino (Loxosceles rufescens) è così chiamato per la caratteristica macchia a forma di violino che ha sul dorso. Vive nascosto in luoghi bui e tranquilli come scatole, scarpe, cassetti o dietro ai mobili. Non è aggressivo e morde solo se si sente minacciato. Il suo veleno però contiene una tossina chiamata “loxoscelina” che può distruggere i tessuti cutanei, provocando necrosi anche estese se non si interviene tempestivamente.
Ragno violino: come riconoscere il morso e intervenire senza rischi
Cosa fare se si sospetta di essere stati morsi da un ragno violino? Prima di tutto, lavare bene la zona con acqua e sapone per ridurre il rischio di infezioni. Poi, è fondamentale applicare del ghiaccio (mai direttamente sulla pelle, ma avvolto in un panno) per rallentare la diffusione del veleno. È importante mantenere la parte colpita sollevata per ridurre il gonfiore e recarsi al pronto soccorso il prima possibile.
Cosa non bisogna fare? Evitare assolutamente i rimedi fai-da-te come tagliare la pelle, aspirare il veleno o applicare pomate senza il consiglio di un medico. Anche il calore è sconsigliato: alcune persone pensano che scaldare la zona possa neutralizzare il veleno, ma nel caso del ragno violino il calore può peggiorare la diffusione della tossina nei tessuti.
I sintomi di un morso possono comparire dopo qualche ora e peggiorare progressivamente. Inizialmente si può osservare un arrossamento locale, poi dolore, gonfiore e la formazione di una vescica. Nei casi più gravi si sviluppa una necrosi, ovvero la morte dei tessuti, che può richiedere interventi chirurgici e lasciare cicatrici permanenti. In rari casi, possono comparire anche sintomi sistemici come febbre, nausea e malessere generale.
La rapidità d’intervento può fare la differenza
Se possibile, catturare il ragno (senza rischiare ulteriori morsi) può aiutare i medici a identificarlo e a scegliere il trattamento più adatto. Tuttavia, non è sempre facile distinguere il morso di un ragno violino da altre infezioni cutanee, quindi la diagnosi spetta sempre al personale sanitario.
Per prevenire i morsi, è utile controllare e scuotere vestiti, scarpe o letti soprattutto nei mesi più caldi, quando il ragno violino si sposta di più in cerca di cibo. È bene sigillare le fessure di porte e finestre e fare attenzione durante le pulizie domestiche, soprattutto in cantine, solai e garage.
Conoscere i rischi e sapere come comportarsi è fondamentale per evitare che un semplice morso si trasformi in un problema serio. La rapidità d’intervento può fare la differenza tra un piccolo fastidio e una complicanza grave, come purtroppo dimostra il caso del bambino di 4 anni coinvolto in questa vicenda.
Continuano ad arrivare informazioni in merito agli iPhone 17 in arrivo il prossimo settembre. Stando a quanto riportato da MacRumors, Apple doterà i modelli Pro di un nuovissimo display antiriflesso resistente ai graffi. Questa e le altre novità in arrivo su tali modelli li renderanno probabilmente i più venduti della gamma. Ecco tutti i dettagli a riguardo.
Non è la prima volta che si parla dell’arrivo di nuovi display antiriflesso sugli iPhone 17 Pro. Qualche mese fa, infatti, diversi analisti avevano predetto il loro arrivo. Problemi con la produzione, però, avevano fatto perdere le speranze. A quanto pare, i produttori dei display hanno risolto le problematiche in tempo per poter iniziare la produzione massiva in tempo per il lancio dei dispositivi.
iPhone 17 Pro: come funzionano i nuovi display
Il nuovo display avrà una serie di benefici in più rispetto a quello presente sui vari modelli di iPhone 16. Grazie ad un nuovo strato antiriflesso, il display non solo sarà maggiormente resistente ai graffi, ma garantirà anche una migliore visibilità in condizioni di elevata luce. Per capirci, sarà possibile godere di una migliore visualizzazione dei contenuti anche sotto la luce diretta del sole. La differenza con i modelli non Pro sarà consistente.
Ricordiamo che i nuovi iPhone 17 Pro e Pro Max verranno presentati il prossimo settembre in un evento Apple dedicato. Il lancio sul mercato è previsto entro la fine dello stesso mese insieme agli altri componenti della gamma (iPhone 17 e 17 Air). Restate in attesa per tutti gli aggiornamenti a riguardo.
Il paracetamolo, conosciuto anche come acetaminofene, è uno dei farmaci più utilizzati al mondo per alleviare febbre e dolore. Ogni anno se ne consumano miliardi di dosi, ma la sua produzione industriale richiede materie prime derivate dal petrolio e processi chimici che generano impatti ambientali. Oggi, però, una nuova frontiera della chimica verde promette di cambiare le cose: la possibilità di produrre il paracetamolo a partire dalla plastica riciclata.
Secondo recenti studi pubblicati da team di ricercatori internazionali, è possibile ottenere il paracetamolo utilizzando come base il polietilene, una delle plastiche più diffuse e difficili da smaltire. Attraverso una serie di reazioni chimiche controllate, le molecole della plastica vengono trasformate in composti intermedi, tra cui il p-idrossiacetofenone, che rappresentauno dei precursori chiave per la sintesi del paracetamolo.
Dalla plastica ai farmaci: il futuro sostenibile del paracetamolo
Questa scoperta potrebbe rivoluzionare sia il settore farmaceutico che quello della gestione dei rifiuti. Da un lato, permetterebbe di ridurre la dipendenza dai derivati del petrolio per la produzione di farmaci; dall’altro, offrirebbe una soluzione innovativa al problema dell’inquinamento da plastica, trasformando un rifiuto in una risorsa preziosa.
Non si tratta solo di un’idea teorica: i primi esperimenti di laboratorio hanno già dimostrato la fattibilità di questa tecnica, con un processo chimico più sostenibile e potenzialmente meno costoso rispetto ai metodi tradizionali. Ovviamente, restano da superare sfide legate alla sicurezza, alla purezza del prodotto e alla scalabilità industriale, ma la strada è aperta.
La produzione di farmaci a partire da materiali riciclati rientra in una più ampia visione di economia circolare, dove ogni scarto può diventare materia prima per un nuovo ciclo produttivo. In questo caso, si andrebbe oltre il semplice riciclo di bottiglie o imballaggi, contribuendo a creare valore aggiunto per la società.
Ciò che cambia è solo l’origine della materia prima
L’idea di assumere un farmaco nato dalla plastica può sembrare bizzarra o preoccupante, ma è importante ricordare che alla fine del processo il principio attivo è chimicamente identico a quello ottenuto con i metodi convenzionali. Ciò che cambia è solo l’origine della materia prima, non la qualità o l’efficacia del farmaco.
Se questa tecnologia verrà perfezionata e approvata, potrebbe aprire scenari impensabili fino a pochi anni fa, con la possibilità di trasformare le montagne di plastica che inquinano il pianeta in strumenti per la cura della salute umana. Sarebbe un esempio concreto di come scienza e innovazione possano collaborare per risolvere due problemi contemporaneamente: l’emergenza ambientale e la sostenibilità della produzione farmaceutica.
Il progetto è ancora in fase sperimentale, ma sta già attirando l’attenzione di aziende e istituzioni internazionali. Se i risultati saranno confermati, potremmo presto vedere sugli scaffali delle farmacie il primo farmaco al mondo nato dalla plastica riciclata: una rivoluzione silenziosa ma potenzialmente epocale.
Il 1° luglio 2025, i telescopi del progetto ATLAS in Cile hanno intercettato qualcosa di eccezionale: un oggetto celeste proveniente da fuori il nostro Sistema Solare. È stata battezzata 3I/ATLAS, terza cometa interstellare mai osservata nella storia, dopo ʻOumuamua (2017) e Borisov (2019). Ma questa volta l’evento ha un valore ancora più straordinario: gli scienziati stimano che questa cometa possa avere oltre 7 miliardi di anni, ben più antica del nostro Sole.
Provenienza galattica e composizione
Secondo i calcoli degli astrofisici dell’Università di Oxford e di Canterbury, 3I/ATLAS proviene da una zona lontana e misteriosa della Via Lattea nota come “disco spesso”. Questa regione ospita stelle antichissime, ed è probabile che la cometa sia stata espulsa dal suo sistema natale miliardi di anni fa, iniziando un viaggio solitario nello spazio interstellare.
Nonostante l’età, 3I/ATLAS si presenta sorprendentemente “attiva”. Le prime osservazioni indicano che è ricca di ghiaccio d’acqua, che si sta sublimando mentre si avvicina al Sole, generando la tipica chioma e coda visibili nelle comete.
Un’occasione unica per la scienza
Matthew Hopkins, astrofisico autore del modello Ōtautahi-Oxford utilizzato per tracciare la traiettoria della cometa, afferma:
“Oggetti come questo sono reliquie dei primi momenti della nostra Galassia. Studiare la loro composizione potrebbe dirci molto su come si sono formati i pianeti, anche quelli come la Terra”.
Michele Bannister, esperta di corpi interstellari, sottolinea che 3I/ATLAS offre “un’occhiata rara e diretta a una zona della galassia mai esplorata prima da vicino”.
Dove e quando osservarla
La cometa sarà visibile con strumenti amatoriali da luglio fino a dicembre 2025. Si muoverà tra le costellazioni Ofiuco, Scorpione e Bilancia, raggiungendo il punto più vicino al Sole il 29 ottobre. A fine anno, lascerà il nostro campo visivo, continuando il suo viaggio millenario.
L’età in cui una ragazza ha il primo ciclo mestruale, chiamato menarca, è un indicatore importante della salute riproduttiva e generale. In media, nelle società occidentali, il ciclo arriva tra i 10 e i 15 anni, ma quando si verifica troppo presto o troppo tardi potrebbe essere un segnale da non ignorare. Negli ultimi decenni, i medici hanno osservato un abbassamento dell’età media del menarca, ma i casi estremi restano comunque motivo di attenzione.
Avere il primo ciclo prima dei 10 anni rientra in quello che i medici definiscono “menarca precoce”. Questo fenomeno può essere legato a una pubertà anticipata, spesso influenzata da fattori genetici, ambientali o da un’esposizione anomala agli estrogeni. In alcuni casi, possono essere coinvolti anche problemi endocrini, obesità infantile o l’assunzione di sostanze che alterano l’equilibrio ormonale.
Ciclo mestruale e salute: cosa sapere se arriva troppo presto o troppo tardi
Anche il menarca tardivo, ovvero dopo i 15 anni, può nascondere problematiche importanti. Può indicare un ritardo nello sviluppo puberale dovuto a disturbi ormonali, malnutrizione, attività fisica eccessiva (come nelle atlete adolescenti) o condizioni mediche come la sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) o disfunzioni tiroidee. In alcuni casi può essere spia di anomalie genetiche o cromosomiche.
Gli studi scientifici hanno evidenziato che un ciclo troppo precoce può aumentare il rischio di sviluppare nel tempo alcune malattie croniche, tra cui il diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e certi tipi di tumore, come il carcinoma mammario. Questo perché una lunga esposizione agli ormoni estrogeni sembra influenzare il metabolismo e la crescita cellulare.
Dall’altro lato, il menarca tardivo può portare a fragilità ossea, problemi di fertilità o irregolarità mestruali persistenti. Inoltre, può riflettere uno stato di salute generale compromesso o essere il sintomo di disturbi metabolici non ancora diagnosticati. È quindi fondamentale approfondire le cause, soprattutto se il ciclo tarda ad arrivare senza una motivazione apparente.
Anche lo stile di vita gioca un ruolo importante
Cosa fare, dunque, se si è avuto il primo ciclo molto presto o molto tardi? La prima cosa è parlarne con il proprio medico o ginecologo di fiducia. Un’anamnesi accurata e, se necessario, alcuni esami ormonali possono aiutare a individuare eventuali squilibri e a prevenire complicazioni future.
Anche lo stile di vita gioca un ruolo importante. Mantenere un peso adeguato, seguire un’alimentazione equilibrata e fare attività fisica moderata può aiutare a regolare il ciclo mestruale e a prevenire i disturbi collegati. È utile inoltre ridurre l’esposizione agli interferenti endocrini, presenti ad esempio in alcuni cosmetici o nella plastica.
Infine, è importante ricordare che ogni corpo ha i suoi tempi, ma quando si riscontrano anomalie nei ritmi naturali dello sviluppo, è sempre meglio affidarsi a un professionista. Prevenzione, ascolto del proprio corpo e controlli regolari sono le chiavi per una salute femminile consapevole e duratura.
Spesso si parla di come sono stati scoperti farmaci pensati per trattare altre patologie che mostrano capacità importanti anche per trattare in parte sintomi della demenza. Oltre a casi positivi però, ci sono anche casi negativi e un recente studio ha individuato un farmaco comune con queste caratteristiche. Nello specifico si tratta di un trattamento mirato ai dolori ai nervi, il gabapentin.
I ricercatori della Case Western Reserve University School of Medicine e di altre facoltà statunitensi hanno collegato l’assunzione di questo farmaco con un aumento significativo dei casi di demenza. L’analisi si è basata su oltre 26.000 cartelle cliniche di individui con una diagnosi di lombalgia cronica. Si parla di un rischio aumentato tra il 29 e l’85% di ricevere una diagnosi entro dieci dall’assunzione del suddetto farmaco.
Un farmaco che può facilitare la comparsa della demenza
Già in precedenza era stato associato questo farmaco con un rischio maggiore di ricevere una diagnosi di demenza. La differenza è che questo studio ha sfruttato un maggiore set di dati rispetto alle altre ricerche. La natura di questa associazione, anche se ancora da provare, potrebbe risiedere nel fatto che il principio attivo del farmaco inibisce alcuni canali comunicativi del cervello per cercare di mitigare il dolore ai nervi.
Le parole dei ricercatori: “La prescrizione di gabapentin negli adulti con lombalgia cronica è associata a un aumento del rischio di demenza e deterioramento cognitivo, in particolare negli adulti non anziani. I medici dovrebbero monitorare gli esiti cognitivi nei pazienti a cui è stato prescritto gabapentin. Ci auguriamo che lo studio attuale promuova ulteriori ricerche per delineare se il gabapentin svolga un ruolo causale nello sviluppo della demenza e i meccanismi alla base di questa relazione.”
Le lesioni al midollo spinale sono tra le condizioni più gravi e invalidanti che una persona possa affrontare. Chi subisce un danno di questo tipo rischia di perdere in modo permanente la capacità di muoversi, di percepire sensibilmente il corpo e di controllare molte funzioni vitali. Fino a oggi la medicina ha avuto pochi strumenti per intervenire efficacemente, ma una nuova tecnologia potrebbe cambiare il futuro della cura: un impianto stampato in 3D che favorisce la rigenerazione del midollo.
La tecnologia della stampa 3D ha già rivoluzionato molti settori della medicina, ma nel campo delle lesioni spinali rappresenta una novità assoluta. Un team di ricercatori internazionali ha progettato un impianto su misura, realizzato con materiali biocompatibili, in grado di imitare la struttura naturale del midollo spinale. Questo supporto tridimensionale offre una sorta di “impalcatura” per le cellule nervose, favorendo la ricrescita dei tessuti danneggiati.
Midollo spinale, la svolta: impianto stampato in 3D aiuta a rigenerare i nervi
L’impianto non è solo un semplice sostegno fisico: è progettato per integrare anche cellule staminali e molecole bioattive che stimolano la rigenerazione nervosa. Questo approccio combina la bioingegneria con la medicina rigenerativa, offrendo una doppia funzione: da un lato protegge la zona lesionata, dall’altro stimola i neuroni a ripararsi e a riformare le connessioni interrotte.
I primi test condotti sugli animali hanno dato risultati molto promettenti. Dopo l’applicazione dell’impianto, alcuni animali hanno mostrato un parziale recupero della mobilità e delle funzioni nervose compromesse. Si tratta di un passo avanti significativo, anche se sarà necessario ancora del tempo prima di poter passare alla sperimentazione clinica sugli esseri umani.
Una delle caratteristiche più innovative di questo impianto è la possibilità di personalizzazione. Grazie alla stampa 3D, infatti, il dispositivo può essere modellato in base alla specifica lesione di ciascun paziente, adattandosi perfettamente alla zona danneggiata e riducendo il rischio di rigetto o complicazioni.
Ben oltre il trattamento delle lesioni spinali
Questa nuova tecnologia apre scenari importanti anche per altre patologie neurologiche. I ricercatori stanno già studiando come applicare la stessa tecnica per riparare danni cerebrali o per trattare altre malattie neurodegenerative. Il potenziale della bio-stampa 3D, dunque, va ben oltre il trattamento delle lesioni spinali.
Nonostante l’entusiasmo, gli esperti invitano alla prudenza. La strada verso una cura definitiva per le lesioni al midollo spinale è ancora lunga e richiederà ulteriori studi, soprattutto per verificare la sicurezza e l’efficacia di questi impianti sugli esseri umani. Tuttavia, la scoperta rappresenta una svolta nel campo della ricerca medica.
Per le persone colpite da traumi spinali, questa innovazione offre finalmente una speranza concreta. L’idea che la tecnologia possa aiutare a ripristinare funzioni perdute e migliorare la qualità della vita di chi vive con una lesione spinale è un passo avanti che la medicina attendeva da tempo.
Mangiare uova con regolarità potrebbe aiutare a mantenere il cervello in salute e a ridurre il rischio di sviluppare l’Alzheimer. A suggerirlo sono numerosi studi scientifici che hanno messo in luce come questo alimento, spesso sottovalutato o demonizzato per il colesterolo, sia in realtà una fonte preziosa di nutrienti fondamentali per la funzione cognitiva e la protezione neuronale.
Le uova sono ricchissime di colina, una sostanza essenziale per la produzione di acetilcolina, un neurotrasmettitore coinvolto nei processi di memoria e apprendimento. La carenza di acetilcolina è uno dei tratti distintivi della malattia di Alzheimer. Integrare la colina attraverso la dieta può quindi contribuire a supportare le funzioni cognitive e rallentare il deterioramento cerebrale.
Uova e cervello: un alleato naturale contro il rischio di Alzheimer
Oltre alla colina, le uova forniscono anche vitamine del gruppo B, in particolare la B12 e la B6, che aiutano a mantenere basso il livello di omocisteina nel sangue. L’omocisteina, se presente in quantità elevate, è associata a un maggiore rischio di danni cerebrali, declino cognitivo e Alzheimer. Per questo motivo, un’alimentazione ricca di queste vitamine può avere un effetto protettivo sul cervello.
Le uova contengono inoltre luteina e zeaxantina, due antiossidanti noti per la protezione della vista, ma che svolgono anche un ruolo importante nella prevenzione dello stress ossidativo a livello cerebrale. L’accumulo di radicali liberi e il danno ossidativo sono infatti tra le cause principali dell’invecchiamento del sistema nervoso.
Uno studio pubblicato su “The American Journal of Clinical Nutrition” ha evidenziato che un maggiore apporto di colina nella dieta è correlato a una migliore funzione della memoria e a un rischio ridotto di demenza. I ricercatori hanno osservato che chi consuma regolarmente alimenti ricchi di colina, come le uova, mostra prestazioni cognitive più alte rispetto a chi ne assume meno.
Un prezioso contributo alla salute della memoria
Nonostante i benefici, è importante ricordare che il consumo di uova deve essere inserito in un’alimentazione equilibrata. Le linee guida nutrizionali moderne suggeriscono che una o due uova al giorno possono tranquillamente far parte di una dieta sana, anche per chi deve tenere sotto controllo il colesterolo, grazie al fatto che l’uovo contiene anche lecitina, che ne modula l’assorbimento.
La prevenzione dell’Alzheimer passa non solo attraverso l’alimentazione ma anche tramite uno stile di vita sano, che include attività fisica regolare, stimolazione mentale e controllo dei fattori di rischio cardiovascolari. Tuttavia, sapere che un alimento semplice e accessibile come l’uovo può fare la differenza per la salute del cervello rappresenta un’informazione utile e motivante.
In un contesto in cui le malattie neurodegenerative sono in crescita, scoprire strategie alimentari per proteggere il cervello diventa sempre più importante. Le uova, se consumate con moderazione e nel quadro di una dieta varia, possono essere un valido alleato contro il declino cognitivo e un prezioso contributo alla salute della memoria.
Se pensi che solo gli esseri umani siano in grado di fare i conti, potresti restare sorpreso. Alcune specie animali hanno sviluppato un “senso del numero”, una capacità innata che permette loro di contare, stimare quantità e prendere decisioni strategiche. Non usano calcolatrici né formule, ma applicano la matematica nella vita quotidiana: per sopravvivere, proteggersi, trovare cibo o interagire con il gruppo.
Ecco cinque esempi sorprendenti dal mondo animale.
1. Le api: piccole matematiche volanti
Le api sono famose per la loro organizzazione, ma anche per le loro abilità matematiche. Riescono a contare i punti di riferimento per orientarsi e, se adeguatamente addestrate, imparano a distinguere numeri pari e dispari.
Uno studio recente ha mostrato che possono persino eseguire semplici addizioni e sottrazioni usando colori e simboli. Una capacità che, in natura, le aiuta a memorizzare i percorsi e massimizzare la raccolta del nettare.
2. I pesci: calcoli di sopravvivenza
Anche i pesci contano. Alcune specie, come i ciclidi, usano il conteggio per valutare il numero di compagni in un gruppo. Questo è cruciale per decidere dove aggregarsi per avere maggiori probabilità di difendersi da predatori.
Sorprendentemente, riescono a distinguere piccole quantità con precisione, e si affidano a scelte collettive basate su calcoli numerici.
3. I corvi: intelligenza alata
Tra gli uccelli, i corvi sono tra i più brillanti. Oltre a saper risolvere problemi complessi, hanno dimostrato la capacità di contare fino a quattro, emettendo richiami in numero preciso in risposta a stimoli.
Alcuni studi suggeriscono che possano persino comprendere il concetto di zero, un’idea astratta che pochi animali sono in grado di elaborare.
4. I pappagalli: addizioni con il becco
Alex, il pappagallo grigio africano, è una celebrità nel mondo scientifico. Sotto la guida della ricercatrice Irene Pepperberg, ha imparato a identificare numeri, quantità e svolgere semplici operazioni.
La sua capacità di associare simboli numerici a quantità reali ha aperto nuovi scenari sul pensiero simbolico negli animali.
5. Gli scimpanzé: i più “umani” tra gli animali
Cugini stretti dell’uomo, gli scimpanzé sono capaci di riconoscere numeri, comprendere l’ordine crescente e fare semplici somme. Nei test di laboratorio, mostrano prestazioni notevoli nell’associare simboli a quantità.
La loro abilità non è solo meccanica: implica memoria visiva, attenzione e ragionamento logico.
Contare per sopravvivere
Per questi animali, la matematica non è una materia scolastica ma una strategia di sopravvivenza. Contare significa sapere quanti nemici affrontare, quanta risorsa c’è da condividere o con quale gruppo allearsi. Una dimostrazione che il pensiero numerico non è un’esclusiva umana, ma una forma di intelligenza distribuita anche nel mondo naturale.
Le bevande energetiche sono un prodotto ormai completamente sdoganato, usato in tutto il mondo con giri d’affari di miliardi e miliardi. Se da un lato sono usate da tutte le generazioni, i più giovani sono quelli che ne sfruttano di più e tra gli sportivi. Ce n’è per tutti i gusti, alcuni fatti apposta per attirare certe fasce. Ma oltre a coloranti artificiali e zuccheri, quali sostanze ci sono e che rischi si trascinano dietro. Secondo nuovi studi, si può anche parlare di cancro.
La sostanza più incriminata è la taurina, la sostanza di fatto alla base delle bevande energetiche. Secondo uno studio pubblicato nei mesi precedenti, avrebbe la capacità di far progredire la leucemia, una forma di cancro che colpisce il sangue. Nello specifico, sembrano in grado di utilizzare la taurina come fonte energetica per crescere e proliferare.
L’effetto degli energy drink sul cancro
La taurina non è in sé una sostanza misteriosa, ma viene assunta nell’organismo in certe quantità con una normale dieta. Il corpo quindi è già abituato a assorbirla, ma se ne assume di più del dovuto, l’organismo deve in qualche modo eliminarla.
Le parole degli esperti: “Consumare più bevande ad alto contenuto di taurina al giorno o assumere integratori di taurina (senza previa consultazione di un medico) in aggiunta a una dieta ricca di taurina potrebbe non essere saggio, soprattutto se la ricerca futura confermerà i legami tra taurina e progressione del cancro. In caso di patologie preesistenti o di una storia familiare di cancro, è sempre meglio consultare un medico prima di ricorrere all’integrazione di taurina o al consumo di bevande energetiche.”
Nonostante Apple abbia proposto per due anni di seguito una scocca in titanio per i suoi modelli di iPhone Pro (15 e 16), quest’anno entrambe le varianti Pro e Pro Max saranno dotate di una scocca in alluminio. Questo non vuol dire che Apple manderà in pensione il titanio, anzi lo continuerà ad usare, ma solo su un modello, il 17 Air. Ecco tutti i dettagli a riguardo.
Ebbene sì, stando a quanto riportato da diversi analisti, Apple avrebbe deciso di utilizzare il titanio per produrre la scocca dei nuovissimi iPhone 17 Air. Se l’anticipazione si rivelerà vera, si tratterebbe della prima volta in cui Apple decide di impiegare un materiale “Pro” per un prodotto più economico.
iPhone 17 Air: scocca in titanio ed alluminio per aumentare la resistenza
La scocca degli iPhone 17 Air non sarà prodotta interamente in titanio. Stando alle ultime indiscrezioni, pare che Apple abbia pensato ad una particolare lega di alluminio e titanio. In questo modo il dispositivo sarà resistente, ma non risulterà eccessivamente appesantito. Il risultato sarà qualcosa di davvero molto interessante. Il dispositivo, infatti, apparirà decisamente “costoso” anche se non sarà il più caro della gamma 17. Curioso sarà vedere come Apple giustificherà i cambiamenti, sopratutto quando i modelli premium saranno prodotti in semplice alluminio e vetro.
Ricordiamo che l’intera gamma di iPhone 17 arriverà sul mercato il prossimo settembre. Apple terrà un evento di presentazione nel corso delle prime settimane e lancerà i dispositivi nei negozi entro la fine dello stesso mese. Restate in attesa per tutti gli aggiornamenti a riguardo.
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Un dispositivo grande quanto una moneta potrebbe presto cambiare la vita di milioni di persone affette da diabete. Un team del Massachusetts Institute of Technology (MIT) ha infatti sviluppato un impianto sottocutaneo intelligente in grado di rilasciare automaticamente glucagone quando i livelli di zucchero nel sangue scendono pericolosamente, salvando letteralmente la vita a chi soffre di ipoglicemia grave.
Cos’è l’ipoglicemia e perché è così pericolosa
L’ipoglicemia si verifica quando il livello di glucosio nel sangue si abbassa troppo. Può causare sudorazione, tremori, confusione mentale, perdita di coscienza e, nei casi peggiori, coma o morte. È particolarmente rischiosa durante il sonno o per chi non è in grado di riconoscerne i sintomi o somministrare una cura in tempo utile.
Attualmente, il trattamento d’emergenza prevede l’uso di glucagone iniettabile, che stimola il fegato a rilasciare zuccheri nel sangue. Ma non sempre è disponibile o utilizzabile in modo tempestivo.
Come funziona il micro-impianto del MIT
Il nuovo dispositivo, descritto in uno studio su Nature Biomedical Engineering, è grande solo 2 grammi ed è pensato per essere impiantato sotto la pelle. Contiene glucagone in forma di polvere, più stabile della versione liquida.
Ecco il punto forte: il rilascio del farmaco avviene in modo automatico. Il dispositivo è dotato di una piccola antenna che riceve segnali da un sensore esterno, come quelli per il monitoraggio continuo della glicemia. Quando rileva un calo pericoloso di zuccheri, una corrente elettrica attiva il rilascio del glucagone, che in pochi minuti ripristina i valori normali nel sangue.
Efficacia dimostrata: risultati promettenti nei test su animali
Nei test condotti su ratti diabetici, l’impianto ha normalizzato i livelli di glucosio entro 10 minuti dall’attivazione. Il meccanismo ha funzionato anche con altri farmaci salvavita, come l’epinefrina in polvere per le reazioni allergiche gravi.
Un ulteriore vantaggio: l’impianto funziona anche se si forma tessuto cicatriziale attorno, mantenendo la sua efficacia per settimane. I ricercatori stimano che, con ulteriori miglioramenti, potrebbe durare fino a un anno o più.
Un futuro più sicuro per chi vive con il diabete
Secondo Siddharth Krishnan, responsabile del progetto, l’obiettivo è rendere l’impianto compatibile con dispositivi già in uso, come i sensori glicemici, permettendo una risposta del tutto automatizzata e autonoma, senza necessità di intervento da parte del paziente.
Questo potrebbe essere un punto di svolta soprattutto per i bambini, gli anziani o le persone con disabilità che non riescono a gestire un’iniezione in situazioni di emergenza.
In un mondo in cui il diabete continua a colpire milioni di persone, questa innovazione del MIT apre la strada a una nuova generazione di tecnologie salvavita, più intelligenti, più pratiche e capaci di intervenire quando conta di più: senza perdere tempo prezioso.
Il daltonismo, o discromatopsia, è un disturbo della vista che altera la percezione dei colori, rendendo difficile distinguere alcune tonalità, come il rosso e il verde. Questo difetto colpisce circa l’8% degli uomini, mentre nelle donne la percentuale scende a meno dell’1%. Ma perché esiste una differenza così marcata tra i due sessi? La risposta si trova nella genetica e nel funzionamento dei cromosomi.
Il daltonismo più comune è quello rosso-verde, causato da un’alterazione dei geni che controllano i coni, le cellule della retina responsabili della visione dei colori. Questi geni si trovano sul cromosoma X, uno dei due cromosomi sessuali. Gli uomini hanno un solo cromosoma X (XY), mentre le donne ne hanno due (XX). Questo rende i maschi più vulnerabili a sviluppare il disturbo.
Daltonismo: ecco perché è molto più comune negli uomini che nelle donne
Se un uomo eredita un cromosoma X difettoso dalla madre, non ha un secondo cromosoma X “di scorta” che possa compensare l’errore genetico. Al contrario, nelle donne, la presenza di due cromosomi X riduce drasticamente la probabilità che entrambe le copie dei geni responsabili siano alterate. Per questo motivo, il daltonismo è molto più raro nelle donne.
Il daltonismo non è una malattia invalidante, ma può creare difficoltà nella vita quotidiana. Chi ne soffre, ad esempio, può confondere semafori, mappe colorate o segnali visivi. In passato, questo problema poteva precludere l’accesso a determinati lavori, come il pilota o il tecnico elettrico, anche se oggi esistono strumenti compensativi e test più accurati per valutare le capacità visive.
La genetica spiega anche perché il daltonismo si trasmette spesso da madre a figlio. Una donna portatrice sana, cioè con un solo cromosoma X alterato, ha il 50% di probabilità di trasmettere il difetto ai figli maschi. Se il gene viene ereditato da una figlia, normalmente non si manifesta, ma la bambina diventerà a sua volta portatrice.
Un giorno offrire una cura definitiva
La scienza sta cercando nuove soluzioni per aiutare chi soffre di daltonismo. Negli ultimi anni sono stati sviluppati occhiali speciali che migliorano la percezione dei colori per alcune forme di discromatopsia, anche se non correggono il difetto alla radice. La ricerca sulla terapia genica, ancora in fase sperimentale, potrebbe un giorno offrire una cura definitiva.
Comprendere come funziona il daltonismo e perché colpisce soprattutto gli uomini è importante per sfatare miti e pregiudizi. Non si tratta di un problema di “vista debole”, ma di una caratteristica ereditaria legata ai cromosomi sessuali. La conoscenza di questi meccanismi aiuta a vivere meglio con il disturbo e ad affrontare le sfide quotidiane con maggiore consapevolezza.
Per anni si è pensato che l’epatite C fosse un virus limitato principalmente al fegato e al sistema sanguigno, ma recenti ricerche stanno cambiando questa visione. Un nuovo studio ha infatti individuato la presenza del virus nel rivestimento cerebrale di alcune persone affette da schizofrenia e disturbo bipolare, suggerendo un possibile collegamento tra infezioni virali croniche e malattie psichiatriche.
La scoperta arriva da un team internazionale di neuroscienziati e virologi che ha analizzato campioni di tessuto cerebrale post-mortem. In alcuni casi, sono state rinvenute tracce genetiche del virus dell’epatite C nel liquido cerebrospinale e nelle meningi, la membrana che protegge il cervello. Questo dato apre nuove ipotesi sul ruolo delle infezioni persistenti nella genesi o nell’aggravamento di disturbi mentali gravi.
Epatite C e salute mentale: il virus potrebbe influenzare il cervello e i disturbi psichiatrici
L’epatite C è nota per i suoi effetti sistemici: oltre ai danni epatici, può causare complicazioni neurologiche, infiammazioni e alterazioni cognitive. Tuttavia, fino ad oggi non era mai stato dimostrato un collegamento diretto con malattie psichiatriche come la schizofrenia o il disturbo bipolare. La presenza del virus nel rivestimento cerebrale potrebbe quindi essere un elemento chiave per spiegare alcuni sintomi neuropsichiatrici osservati nei pazienti.
Secondo gli studiosi, il virus potrebbe contribuire a uno stato infiammatorio cronico nel sistema nervoso centrale, alterando la chimica cerebrale e facilitando l’insorgenza di disturbi mentali. L’ipotesi è che il sistema immunitario, nel tentativo di contrastare il virus, possa attaccare per errore tessuti sani del cervello, innescando un processo di neuro-infiammazione che può interferire con le normali funzioni cognitive ed emotive.
Non è la prima volta che viene suggerito un legame tra infezioni e salute mentale. In passato, altri virus come l’herpes simplex e il citomegalovirus sono stati associati a un aumento del rischio di schizofrenia e disturbo bipolare. La nuova scoperta sull’epatite C aggiunge un tassello importante a questo scenario, indicando che anche i virus epatici potrebbero avere un ruolo sottovalutato nel funzionamento del cervello.
Un approccio integrato alla cura della mente
Gli esperti invitano però alla cautela: la presenza del virus non significa necessariamente che sia la causa diretta dei disturbi psichiatrici. Potrebbe trattarsi di una correlazione legata a fattori di rischio comuni o a vulnerabilità immunitarie specifiche. Sono necessari ulteriori studi per chiarire se l’infezione cronica da epatite C possa effettivamente contribuire allo sviluppo di queste patologie.
Questa ricerca apre nuove prospettive per la prevenzione e la cura dei disturbi mentali. In futuro, potrebbe diventare importante includere il monitoraggio delle infezioni virali croniche nella gestione della salute psichiatrica, con l’obiettivo di individuare possibili trattamenti antinfiammatori o antivirali come parte di un approccio integrato alla cura della mente.
SharkNinja, azienda globale leader nell’innovazione di piccoli elettrodomestici per la casa e la cucina, presenta la Ninja CRISPi™ 4-in-1 Portable Glass Air Fryer, una friggitrice ad aria portatile che ridefinisce completamente il modo di cucinare, conservare e servire i pasti. Compatta, potente e progettata per semplificare la vita quotidiana, questa novità rappresenta una rivoluzione nella cucina moderna.
Nata per soddisfare le esigenze di chi ha poco tempo ma non vuole rinunciare a piatti gustosi e ben preparati, Ninja CRISPi™ è molto più di una semplice friggitrice ad aria. È un sistema multifunzione che consente di cucinare, servire, conservare e riscaldare all’interno dello stesso contenitore, con un ingombro minimo e una versatilità sorprendente. Perfetta per studenti, lavoratori, famiglie dinamiche o per chi vive in piccoli spazi, Ninja CRISPi™ funziona ovunque ci sia una presa elettrica, portando il gusto del cibo fatto in casa in qualsiasi contesto.
Al centro del sistema si trova il modulo di cottura Ninja CRISPi Power Pod, un motore da 1700 watt compatto e leggero che si collega a contenitori in vetro borosilicato trasparente da 1,4 o 3,8 litri, progettati per resistere alle alte temperature e completamente privi di PFAS. Grazie alla tecnologia di rilevamento automatico, il dispositivo riconosce la dimensione del contenitore e regola di conseguenza i parametri di cottura, garantendo risultati sempre uniformi, senza bisogno di impostazioni manuali.
La versatilità è uno dei punti di forza di Ninja CRISPi™. Le sue quattro modalità di cottura – Air Fry, ReCrisp, Keep Warm e Roast – consentono di affrontare ogni tipo di preparazione, dagli snack croccanti agli arrosti completi. Con una capienza tale da contenere fino a sei porzioni o un pollo intero da 1,2 kg, è possibile cucinare in modo efficiente anche per più persone, mantenendo sempre un’elevata qualità e praticità.
Sharkninja Crispi: un’idea geniale
Grazie ai coperchi ermetici e anti-perdita, si può passare senza interruzioni dalla cottura alla conservazione, rendendo superfluo il trasferimento in altri contenitori. Questo riduce il numero di stoviglie da lavare, ottimizza i tempi e favorisce una gestione più intelligente degli avanzi, contribuendo in modo concreto a limitare gli sprechi alimentari.
Il design modulare e impilabile è stato studiato per adattarsi a qualsiasi ambiente domestico, facilitare il trasporto e ottimizzare gli spazi. L’intero sistema si ripone facilmente in un cassetto o in una borsa, rendendo Ninja CRISPi™ un dispositivo davvero portatile, ma senza rinunciare alla potenza e alla qualità tipiche delle friggitrici ad aria di dimensioni standard.
Secondo Damian Woodward, Managing Director EMEA di SharkNinja, l’idea nasce da un’attenta osservazione della vita reale dei consumatori: “Molti ci hanno raccontato di quanto sia difficile gestire il tempo in cucina, il disordine, gli avanzi. Con Ninja CRISPi™ abbiamo voluto dare una risposta concreta a questi problemi: un dispositivo unico, portatile, che semplifica la preparazione dei pasti senza compromettere il gusto e la qualità.”
La nuova Ninja CRISPi™ 4-in-1 Portable Glass Air Fryer sarà disponibile a partire dal 16 luglio 2025 al prezzo consigliato di 179,99 €, in esclusiva sul sito ufficiale ninjakitchen.it
Il mondo degli SSD portatili ha visto un’evoluzione significativa negli ultimi anni, sia in termini di prestazioni che di design e connettività. Tra i prodotti più interessanti recentemente introdotti sul mercato c’è il SanDisk Extreme Pro USB 4 Portable SSD, che promette di offrire velocità straordinarie grazie al supporto per lo standard USB 4.0 e una struttura estremamente robusta, capace di sopportare le condizioni d’uso più impegnative. In questa recensione analizzeremo nel dettaglio le prestazioni, caratteristiche tecniche, design, compatibilità, e l’esperienza d’uso, per capire se si tratta davvero del dispositivo di storage portatile definitivo per professionisti e utenti esigenti.
Design e costruzione
Il SanDisk Extreme Pro USB 4 si presenta con un aspetto professionale e una costruzione che comunica immediatamente robustezza. Il corpo principale è realizzato in alluminio anodizzato, con inserti in silicone antiscivolo che ricoprono parzialmente la superficie, migliorando la presa e la resistenza agli urti. Le dimensioni sono piuttosto generose per un SSD portatile: circa 112 x 58 x 12 mm, con un peso di circa 172 grammi. Non è il drive più compatto in commercio, ma compensa con una sensazione di solidità superiore alla media.
Il drive è certificato IP65, il che significa che è resistente alla polvere e ai getti d’acqua a bassa pressione. Inoltre, è garantito per sopportare cadute fino a due metri di altezza, una caratteristica fondamentale per chi lavora spesso in ambienti esterni o in mobilità. SanDisk ha incluso anche un piccolo gancio per moschettone, utile per agganciare il drive allo zaino o a una cintura, pensato chiaramente per chi lavora sul campo.
L’interfaccia è una USB-C conforme allo standard USB 4.0 (40 Gbps), compatibile anche con Thunderbolt 3, Thunderbolt 4 e le precedenti versioni USB, anche se le prestazioni variano sensibilmente a seconda della porta utilizzata. Questo elemento sarà centrale nella nostra analisi delle prestazioni, perché la compatibilità teorica non sempre si traduce in performance reali.
Caratteristiche tecniche e componenti interni
Il cuore dell’Extreme Pro è un SSD NVMe interno, montato su un controller compatibile USB 4, con specifica UASP (USB Attached SCSI Protocol) per migliorare l’efficienza delle operazioni di lettura e scrittura. Le memorie utilizzate sono di tipo 3D NAND TLC, una scelta che garantisce un ottimo bilanciamento tra prestazioni, affidabilità e durata nel tempo.
Secondo i dati dichiarati da SanDisk, la velocità massima teorica è di fino a 3800 MB/s in lettura e 3700 MB/s in scrittura sequenziale, ma come sempre, è importante verificare questi numeri nella pratica, su sistemi reali, con diversi profili di carico. È presente anche un sistema di thermal throttling intelligente che, almeno sulla carta, dovrebbe mantenere prestazioni stabili anche durante trasferimenti prolungati.
Al suo interno è installato un dissipatore passivo in alluminio, integrato nel telaio, che aiuta a contenere le temperature senza la necessità di ventole o soluzioni attive. Durante i test, questo aspetto si è rivelato efficace: dopo 10 minuti di trasferimento continuo di file video 4K da oltre 20 GB, la superficie del drive ha raggiunto i 58°C, una temperatura elevata ma coerente con l’uso intensivo e comunque priva di conseguenze negative sul piano delle prestazioni.
Prestazioni: benchmark e test reali
I test sono stati eseguiti su tre configurazioni: un Mac Studio M2 Ultra con porte Thunderbolt 4/USB4 native, un laptop con Intel Core i7 di 12a generazione con USB 3.2 Gen 2×2, e un desktop AMD Ryzen con controller USB 4 ASMedia. Questo ci ha permesso di verificare il comportamento del drive in scenari realistici. Sul Mac Studio, il SanDisk Extreme Pro ha raggiunto una velocità media di 3400 MB/s in lettura e 3150 MB/s in scrittura sequenziale, con picchi fino a 3600 MB/s nei test di CrystalDiskMark. In scrittura casuale 4K, le prestazioni sono rimaste buone, con circa 270 MB/s, un valore eccellente per un drive esterno.
Sul laptop con USB 3.2 Gen 2×2, le velocità sono scese, come previsto, a circa 1000 MB/s in lettura e 950 MB/s in scrittura sequenziale. Anche se inferiori, restano comunque superiori rispetto alla media dei drive USB 3.2 Gen 2 convenzionali, ma lontane dal potenziale massimo del dispositivo. Il sistema con controller ASMedia USB 4 ha mostrato risultati altalenanti: in alcuni test, il drive veniva riconosciuto come USB 3.2 Gen 2, limitando le prestazioni a circa 900 MB/s. Dopo un aggiornamento del firmware della scheda madre, la connessione è avvenuta correttamente in modalità USB 4, raggiungendo velocità vicine a 3200 MB/s.
Durante l’uso prolungato, il drive ha mostrato un’ottima stabilità. Anche dopo oltre 200 GB trasferiti in un’unica sessione, non si sono verificati cali di performance significativi, segno che il throttling termico lavora in maniera efficace e progressiva.
Compatibilità e software
Uno degli aspetti più interessanti – e anche più critici – del SanDisk Extreme Pro USB 4 è la compatibilità con le diverse piattaforme. Come visto nei benchmark, le prestazioni dipendono fortemente dalla porta USB-C utilizzata. Non tutti i computer dotati di USB-C garantiscono lo stesso throughput, ed è necessario che la porta supporti esplicitamente USB 4 (40 Gbps) per sfruttare appieno il potenziale del drive.
Nel caso di Mac con Thunderbolt 3 o 4, il drive si comporta in maniera eccellente. Anche su dispositivi M1 e M2, l’interfaccia è sufficientemente veloce da raggiungere prestazioni vicine al massimo dichiarato. Su sistemi Windows, invece, il comportamento è più variabile, soprattutto in presenza di controller USB-C non nativi o chipset non aggiornati.
SanDisk include anche un software di sicurezza opzionale, SanDisk Security, che consente di proteggere con password i contenuti del drive utilizzando la crittografia hardware AES a 256 bit. È una funzione utile per professionisti che lavorano con dati sensibili, anche se il software, va detto, è piuttosto essenziale e manca di opzioni avanzate.
Esperienza d’uso e considerazioni finali
L’esperienza d’uso quotidiana con il SanDisk Extreme Pro USB 4 è stata estremamente positiva. In ambito professionale, durante l’editing video con file ProRes 422 HQ su Final Cut, il drive ha gestito flussi multipli 4K a 60 fps senza alcun rallentamento. Anche in ambienti di virtualizzazione, con macchine virtuali pesanti archiviate sull’SSD, non si sono verificati colli di bottiglia.
Durante i trasferimenti di progetti fotografici in formato RAW da oltre 300 GB, il drive ha mantenuto una velocità stabile sopra i 2500 MB/s per la maggior parte dell’operazione, rallentando leggermente solo verso la fine, probabilmente a causa del comportamento della cache SLC dinamica. Questo è coerente con molti SSD NVMe moderni e non rappresenta un difetto significativo.
Un altro punto a favore è il silenzio totale: essendo completamente passivo, non c’è alcuna componente rumorosa, e la sensazione tattile durante l’uso è solida ma mai scomoda, anche dopo lunghi periodi.
Conclusione: un SSD di fascia alta per utenti esigenti
Il SanDisk Extreme Pro USB 4 Portable SSD si posiziona saldamente nella fascia alta del mercato degli SSD esterni. Le sue prestazioni, su sistemi compatibili, sono tra le più elevate mai viste in un drive portatile, e la qualità costruttiva è ai massimi livelli.
Non è perfetto: le dimensioni sono superiori alla media, il prezzo è importante, e l’effettiva compatibilità dipende dalla configurazione hardware dell’utente. Tuttavia, per chi lavora con grandi quantità di dati, per videomaker, fotografi professionisti, sviluppatori e chiunque abbia bisogno di trasferimenti ultra veloci, questo drive rappresenta un investimento solido e futuribile.
SanDisk ha fatto un lavoro eccellente nell’equilibrare velocità, sicurezza, design e robustezza. Con una garanzia di 5 anni, una certificazione IP65, supporto USB 4, e performance che sfiorano i limiti dell’interfaccia, il SanDisk Extreme Pro USB 4 è uno degli SSD portatili più completi oggi disponibili.
Fumare non fa solo male ai polmoni. Un nuovo studio ha dimostrato che il fumo di tabacco accelera l’invecchiamento cellularein modo sistemico e irreversibile, colpendo anche organi insospettabili come il cervello, la tiroide e il pancreas.
La ricerca, condotta dalla Facoltà di Scienze dell’Università di Porto in collaborazione con il Barcelona Supercomputing Center, è stata pubblicata su Genome Medicine e analizza in dettaglio l’impatto molecolare del tabacco su 46 tessuti diversi prelevati da oltre 700 individui (fumatori, ex fumatori e non fumatori).
Il fumo accelera l’invecchiamento a livello del DNA
Utilizzando tecniche avanzate di analisi multi-omica – che includono metilazione del DNA, espressione genica e splicing – i ricercatori hanno rilevato che il fumo provoca ipermetilazione, un cambiamento epigenetico che altera la funzione dei geni, silenziando quelli che regolano la crescita e la riparazione cellulare.
Il prof. Pedro Gabriel Ferreira, uno degli autori, spiega:
“Abbiamo dimostrato che il fumo genera un’infiammazione sistemica e profili epigenetici simili a quelli delle persone anziane. In pratica, accelera l’orologio biologico.”
Effetti irreversibili anche dopo aver smesso
Tra gli ex fumatori, alcuni danni sono risultati permanenti, in particolare quelli legati agli stessi geni coinvolti nei meccanismi dell’invecchiamento naturale. Questo significa che smettere di fumare riduce i rischi futuri, ma non cancella del tutto i segni già impressi nel genoma.
“I danni più persistenti – conferma il coautore Rogério Ribeiro – sono proprio quelli che si sovrappongono ai meccanismi biologici dell’invecchiamento.”
Non solo polmoni: cervello, tiroide, pancreas
Oltre alle vie respiratorie, lo studio ha individuato effetti gravi del tabacco su organi come esofago, pancreas e tiroide, oltre a regioni cerebrali legate alla memoria e al coordinamento motorio. Si tratta di tessuti spesso trascurati negli studi sul fumo, che ora si rivelano ugualmente vulnerabili.
Una mappa molecolare del danno
Il valore di questo studio è duplice: fornisce una vera “mappa” del danno molecolare da fumo, e aiuta a distinguere gli effetti reversibili da quelli permanenti. La speranza è che questi dati possano rafforzare le politiche di prevenzione, soprattutto tra i giovani e gli ex fumatori che credono di aver azzerato ogni rischio.
In sintesi: il fumo non solo uccide, invecchia tutto il corpo, e lo fa a livello genetico ed epigenetico, in modo silenzioso ma duraturo.
Coin litecoin and Bitcoin closeup on a beautiful background. Conceptual image of a digital cryptocurrency and payment system, concept of virtual money
Negli ultimi anni, le criptovalute si sono trasformate da investimenti digitali di nicchia a strumenti transazionali tradizionali, e ora stanno rimodellando il settore del gioco d’azzardo. Nel 2025, sempre più casinò accoglieranno Bitcoin, Ethereum e altre criptovalute sulle loro piattaforme, annunciando un’era di trasformazione. Questo cambiamento non solo riflette l’evoluzione delle preferenze dei consumatori e il progresso tecnologico, ma offre anche nuove opportunità agli operatori desiderosi di aumentare l’efficienza, accedere a nuovi mercati e migliorare l’esperienza utente.
Transazioni istantanee e senza confini
Uno dei motivi più convincenti per cui i casinò accettano le criptovalute è la promessa di depositi e prelievi pressoché istantanei. I sistemi bancari tradizionali spesso comportano ritardi e complicazioni amministrative, soprattutto quando i giocatori attraversano i confini nazionali. Le criptovalute eliminano queste barriere. Un trasferimento in Bitcoin o stablecoin può essere verificato in pochi minuti, persino secondi, senza dover convertire valute, sopportare festività bancarie o attendere l’approvazione dell’intermediario. Questa immediatezza migliora notevolmente l’esperienza del giocatore e offre ai casinò un vantaggio competitivo.
Raggiungere i giocatori oltre i confini normativi
Uno dei motivi principali per cui i casinò basati su criptovalute stanno guadagnando popolarità è la loro capacità di aggirare le restrizioni locali che possono limitare l’accesso dei giocatori. Molte di queste piattaforme sono autorizzate all’estero e operano al di fuori dei quadri normativi nazionali, inclusi i programmi restrittivi imposti dalle autorità di regolamentazione statali. Questa distanza normativa, unita all’anonimato e alla velocità dei pagamenti in criptovalute, attrae i giocatori che cercano maggiore libertà e meno barriere. Di conseguenza, l’interesse per casino senza autoesclusione per italiani da considerare da considerare, soprattutto per coloro che hanno precedentemente aderito o sono stati inseriti nella lista di autoesclusione dell’AAMS ma ora cercano un modo per giocare senza interruzioni. Le criptovalute non solo consentono questo accesso, ma lo fanno anche con un onboarding più rapido, transazioni senza confini e un maggiore senso di privacy.
Commissioni più basse, scalabilità più rapida
I tradizionali processori di pagamento e le carte di credito applicano commissioni che possono erodere i profitti, soprattutto per le transazioni ad alto volume e basso margine. I pagamenti in criptovaluta in genere costano meno, poiché si basano su reti decentralizzate senza intermediari di pagamento. Questi risparmi possono essere trasferiti ai giocatori sotto forma di commissioni di transazione più basse e bonus più elevati, oppure trattenuti dai casinò per migliorare i margini. In effetti, le criptovalute favoriscono una situazione vantaggiosa per entrambe le parti e incoraggiano una rapida crescita per gli operatori che desiderano investire nell’acquisizione di utenti e nello sviluppo di prodotti.
Differenziazione del marketing
Accettare le criptovalute è anche un gioco d’immagine. Posizionarsi come casinò favorevole alle criptovalute segnala a un pubblico esperto di tecnologia e orientato all’innovazione di essere all’avanguardia. Comunicati stampa, buzz sui social media e contenuti generati dagli influencer amplificano questa percezione. I casinò che investono presto nell’integrazione con le criptovalute possono sfruttare questa spinta di marketing, attirando un pubblico che apprezza esperienze futuristiche e servizi all’avanguardia, rafforzando la credibilità del marchio e distinguersi dalla concorrenza.
Sicurezza by Design
Le criptovalute si basano sulla tecnologia blockchain, un registro decentralizzato che garantisce trasparenza, tracciabilità e sicurezza. Sia per i giocatori che per i casinò, questo significa meno preoccupazioni relative a frodi, storni di fondi o furto di identità. I registri immutabili sulla blockchain aiutano a prevenire la doppia spesa o gli addebiti di storno dolosi. I contratti intelligenti possono automatizzare le condizioni di pagamento in modo trasparente, senza lasciare spazio a manipolazioni. In un settore in cui la fiducia è tutto, la certezza crittografica delle criptovalute aumenta la fiducia dei consumatori e aiuta gli operatori a mantenere la stabilità finanziaria.
Sistemi di fidelizzazione ripensati
Le criptovalute introducono nuove dimensioni nei premi fedeltà. I programmi fedeltà tradizionali si basano su punti con utilizzo limitato, date di scadenza o complesse regole di riscatto. Ora, i casinò stanno lanciando token personalizzati: crediti fedeltà basati su blockchain che i giocatori possono accumulare, scambiare o persino monetizzare. Questi token possono alimentare abbonamenti esclusivi a club, accessi speciali a giochi o trasferimenti peer-to-peer. Il risultato è una community coinvolta con una fedeltà tangibile basata su criptovalute, anziché punti bloccati in un’app.
Consapevolezza del rischio e volatilità
Anche se i casinò abbracciano le criptovalute, rimangono consapevoli della loro volatilità. Gli operatori in genere affrontano questo problema offrendo le opzioni stablecoin più sicure o convertendo istantaneamente i depositi in valuta fiat. Strumenti di back-office e strategie di copertura li aiutano anche a gestire la volatilità e a garantire che la redditività non sia esposta alle oscillazioni dei prezzi delle criptovalute. Questo approccio ponderato e intelligente consente di sfruttare i vantaggi operativi delle criptovalute senza compromettere la stabilità finanziaria.
Guardando al futuro: cosa succederà nel 2025
Accettare le criptovalute è solo il primo passo. Nel 2025, assisteremo alla sperimentazione da parte dei casinò di integrazioni più profonde: piattaforme completamente crypto-native, NFT per asset di gioco o livelli VIP, ricompense di staking con rendimento sui saldi dormienti e modelli di governance della community in stile DAO. Questi progressi potrebbero portare il gioco d’azzardo nel metaverso, attraverso lounge VR integrate, tornei tokenizzati e decisioni DAO sulle regole del gioco o sulla ripartizione dei pagamenti. L’esperienza del casinò si sta evolvendo ben oltre i rulli che girano: sta diventando un ecosistema di intrattenimento multidimensionale e decentralizzato.
Avete ricevuto un’e-mail dove vi viene detto che è necessario pagare un’ingente somma di denaro per evitare di essere denunciati ed arrestati? Per quanto il messaggio possa allarmavi, non fatevi prendere dal panico. Quella che può sembrare una comunicazione seria altro non è che un tentativo di truffa. Ecco tutti i dettagli a riguardo.
I malintenzionati del web se ne inventano di ogni. Questa volta il tranello arriva dalla “banca africana dello sviluppo“, la quale richiede un bonifico di ben 2000 euro per una ragione non ben comprensibile. La cosa fondamentale è non farsi prendere dal panico per evitare di cadere nella trappola.
Truffa del pagamento per controllo fiscale: come riconoscere la truffa
Come già accennato, la truffa si sta diffondendo via e-mail. L’oggetto è il seguente: “UFFICIO DI CONTROLLO DELLE INDAGINI E DELLE VERIFICHE FISCALI SU TRASFERIMENTO INTERNAZIONALE FUORI AFRICA“. All’interno, tra le tante cose, è possibile leggere: “Totale del bonifico 2.000€ Secondo i poteri che li sono stati conferiti dallo Stato del MAROCCO, da decreto firmato del ministro dell’economia e delle finanze, il nostro ministero di tutela. Dopo le diverse crisi economiche legati alle frodi fiscali, lavaggio di denaro o deviazioni di denaro pubblici e privato, l’ufficio di controllo è stato instaurato per lottare efficacemente contro tutti questi mali in particolare li freghi legate alla vendita ed all’acquisto su Internet che sono molto ricorrenti al giorno d’oggi“.
Ovviamente, non manca l’intimidazione: “È obbligatorio di effettuare questo pagamento per il controllo fiscale per essere sicuro che questa transazione è legale Se voi rifiuti di seguire la procedura richiesta, saremo obbligati a fare un denuncia contro di te per transazioni illegali sul nostro territorio e la polizia Interpol lo gestirà per il mandato di arresto internazionale.”
Non c’è bisogno di dire che tutto ciò che è presente nel messaggio e-mail non corrisponde al vero e che quindi non è necessario effettuare nessun bonifico. La cosa importante, per evitare frodi e furto di dati è non interagire con i malintenzionati e non cliccare su nessun link presente nel messaggio. Solo in questo modo si evitano spiacevoli inconvenienti.
I cani non sono soltanto i migliori amici dell’uomo, ma anche straordinari alleati della medicina. Negli ultimi anni la scienza ha confermato che i cani possono rilevare alcune malattie attraverso l’olfatto, tra cui il diabete, il cancro e persino il morbo di Parkinson. Una capacità che apre scenari promettenti per la diagnosi precoce di questa malattia neurodegenerativa ancora difficile da individuare nelle sue fasi iniziali.
Il morbo di Parkinson è una patologia complessa che colpisce principalmente il sistema nervoso centrale, provocando tremori, rigidità muscolare e difficoltà nei movimenti. Ma i suoi effetti non si limitano al cervello: alterano anche il metabolismo, cambiando la composizione chimica del sudore e del sebo cutaneo. Queste modifiche producono un odore impercettibile per gli esseri umani, ma rilevabile dai cani grazie al loro olfatto ipersviluppato.
Diagnosi precoce del Parkinson: il naso dei cani più preciso della tecnologia
La scoperta del fiuto dei cani per il Parkinson si deve, in parte, al caso di Joy Milne, una donna scozzese che affermava di percepire un odore diverso sulla pelle del marito anni prima che ricevesse la diagnosi. Questo caso ha incuriosito i ricercatori, portandoli a studiare se un cambiamento reale nell’odore corporeo fosse legato alla malattia. Le analisi hanno confermato che il Parkinson altera la composizione del sebo, e da lì è nata l’idea di coinvolgere i cani addestrati.
Alcuni lavoratori nel Regno Unito e negli Stati Uniti stanno lavorando con cani da fiuto per insegnare loro a riconoscere il Parkinson annusando campioni di pelle, sudore o vestiti. I risultati preliminari sono sorprendenti: in alcuni studi, i cani hanno individuato la presenza della malattia con un’accuratezza superiore al 90%. Questa sensibilità potrebbe superare quella dei test medici tradizionali nelle prime fasi della malattia.
Il motivo di questa straordinaria capacità è legato ai composti organici volatili rilasciati dalla pelle dei pazienti. I cani riescono a percepire concentrazioni di molecole odorose nell’ordine di parti per trilione, una sensibilità olfattiva milioni di volte superiore a quella dell’uomo. Questa dote li rende dei veri e propri “biosensori viventi“, in grado di captare segnali chimici invisibili anche alla tecnologia più avanzata.
Rallentare la progressione della malattia e migliorare la qualità di vita dei pazienti
Nonostante i risultati incoraggianti, l’impiego dei cani per la diagnosi del Parkinson non è ancora una pratica clinica. La ricerca sta però contribuendo a sviluppare dispositivi elettronici, come i cosiddetti “nasi elettronici”, che imitano l’olfatto canino e potrebbero essere usati negli ospedali per una diagnosi più rapida e meno invasiva.
L’obiettivo futuro è riuscire a creare metodi affidabili e standardizzati per la diagnosi precoce, utilizzando sia il fiuto dei cani sia la tecnologia derivata da queste scoperte. Intervenire tempestivamente sul Parkinson significa rallentare la progressione della malattia e migliorare la qualità di vita dei pazienti.
La collaborazione tra medici, ricercatori e cani da fiuto rappresenta quindi una nuova frontiera della medicina preventiva. Questi animali, grazie al loro incredibile olfatto, non solo possono aiutare a salvare vite, ma stanno insegnando alla scienza come leggere segnali invisibili che il corpo umano emette molto prima che compaiano i sintomi più evidenti.
Design raffinato, ANC efficace e un suono bilanciato: i nuovi auricolari true wireless AMIRON 300 di Beyerdynamic puntano a conquistare chi cerca un’esperienza d’ascolto completa, senza rinunciare alla praticità. Ma come si comportano davvero nell’uso quotidiano? Li abbiamo messi alla prova, analizzando design, qualità sonora, funzionalità smart e autonomia.
Contenuto della confezione
Auricolari true wireless AMIRON 300 con cancellazione attiva del rumore (ANC)
Custodia di ricarica
Cavo USB-C
5 coppie di eartips in silicone (XS, S, M, L, XL)
Design e comfort: eleganza funzionale
Abbiamo testato la versione cream, decisamente più accattivante della classica variante nera. Il design ergonomico permette una vestibilità stabile e comoda, anche per lunghe sessioni di ascolto. Un dettaglio interessante è la piccola sporgenza sulla superficie touch, che ne facilita l’utilizzo. In generale, l’AMIRON 300 si distingue per il mix ben riuscito tra estetica e funzionalità.
Funzionalità smart: tutto sotto controllo
Grazie all’app Beyerdynamic, i controlli touch degli auricolari sono completamente personalizzabili, permettendo un’interazione fluida e intuitiva. Il sensore di rilevamento automatico rende ancora più immediato l’uso quotidiano. L’ANC è efficace, attenua i rumori esterni in modo convincente, offrendo un’esperienza immersiva, soprattutto durante l’ascolto musicale.
Connessione Bluetooth e codec
Gli AMIRON 300 sono dotati di Bluetooth 5.3, con pairing rapido e connessione multipoint. Supportano LDAC per Android e AAC per iOS, assicurando una buona qualità audio su ogni piattaforma.
Autonomia
Gli auricolari garantiscono fino a 10 ore di ascolto (7 con ANC attivo) e circa 28 ore totali con la custodia. È una durata nella media per questa fascia di prezzo, ma sufficiente per la maggior parte degli utilizzi quotidiani.
Qualità del suono
Soundstage
Il palcoscenico sonoro è accettabile, ma non particolarmente ampio o coinvolgente. La separazione tra i suoni è ordinata, ma manca profondità: uno degli aspetti in cui l’AMIRON 300 mostra i propri limiti rispetto alla concorrenza.
Bassi
I bassi sono presenti ma contenuti e poco corposi, anche usando l’EQ. La risposta è morbida e controllata, adatta a pop ed elettronica, ma potrebbe deludere chi cerca bassi profondi e potenti.
Medi
Il punto forte degli AMIRON 300 è la chiarezza della gamma media. Le voci e gli strumenti si distinguono bene, con un dettaglio che ricorda la qualità studio di altri prodotti Beyerdynamic. L’equilibrio tra i vari elementi è eccellente.
Alti
Gli alti sono fluidi e mai fastidiosi, con un tocco di brillantezza senza risultare acuti o affaticanti. Tuttavia, mancano di incisività e pienezza, risultando un po’ sottili nelle frequenze più alte.
Considerazioni finali
I Beyerdynamic AMIRON 300 sono auricolari ben costruiti, comodi e facili da usare, con una resa sonora bilanciata, soprattutto nei medi. La qualità costruttiva e la personalizzazione dei comandi li rendono un’opzione interessante. Tuttavia, chi cerca bassi potenti o un soundstage ampio potrebbe preferire alternative più performanti nella stessa fascia di prezzo.
Pro e contro
Pro
✔️ Chiarezza nei medi
✔️ Alti dettagliati ma non affaticanti
✔️ Vestibilità comoda
✔️ Controlli touch reattivi
✔️ Buona ANC
✔️ Supporto LDAC
✔️ Connessione multipoint
Contro
❌ Soundstage stretto
❌ Bassi poco incisivi
❌ Forte concorrenza nella stessa fascia
In conclusione
Gli AMIRON 300 sono una scelta solida per chi privilegia il comfort, la qualità dei medi e le funzionalità intelligenti, senza aspettarsi un’esperienza audio di fascia altissima. Se il tuo obiettivo è un ascolto rilassato, chiaro e versatile, questi auricolari potrebbero essere il giusto equilibrio tra stile e sostanza.